sabato 24 settembre 2016

UN POETA A CASO, MA NON TROPPO: GUIDO GOZZANO



di FRANCESCO GALLINA



"La povera cosa che m'ama" è una giovane attrice che Guido Gozzano lascia in Piazza Castello. Si lamenta, la fanciulla, del male arrecatogli dal poeta, e le sue parole rimbombano, ossessive, nella mente di lui. Una filastrocca che assume i connotati di una dolorosa nenia che incombe come un macigno nel dettato poetico. Forse, però, Guido non è così feroce come pensa di essere, se soffre pensando a quelle parole. 
Per la consueta rubrica poetica del sabato, #busillisblog propone Un rimorso, poesia tratta da La via del rifugio (1907), una raccolta che contiene già tutti i caratteri della poesia cosiddetta crepuscolare (termine, crepuscolarismo, che conierà Borgese solo nel 1910). Si respira un aria di morte, i versi sono attanagliati da un senso di soffocamento e di frustrazione. Una poesia color grigio, in cui all''aulicità' dei poeti vati si sostituisce la prosaicità del borghese quotidiano. 
La accompagniamo con Remorse, or Sphinx Embedded in the Sand, olio su tela di Salvador Dalì del 1930. 



UN RIMORSO

da LA VIA DEL RIFUGIO di GUIDO GOZZANO





I.

O il tetro Palazzo Madama...
la sera... la folla che imbruna...
Rivedo la povera cosa,

la povera cosa che m’ama:
la tanto simile ad una 
piccola attrice famosa.

Ricordo. Sul labbro contratto
la voce a pena s’udì:
"O Guido! Che cosa t’ho fatto
di male per farmi così?" 


II.

Sperando che fosse deserto
varcammo l’androne, ma sotto
le arcate sostavano coppie

d’amanti... Fuggimmo all’aperto:
le cadde il bel manicotto 
adorno di mammole doppie.

O noto profumo disfatto
di mammole e di petit-gris...
"Ma Guido che cosa t’ho fatto
di male per farmi così?". 


III.

Il tempo che vince non vinca
la voce con che mi rimordi,
o bionda povera cosa!

Nell’occhio azzurro pervinca,
nel piccolo corpo ricordi 
la piccola attrice famosa...

Alzò la veletta. S’udì
(o misera tanto nell’atto!)
ancora: "Che male t’ho fatto,
o Guido, per farmi così?". 


IV.

Varcammo di tra le rotaie
la Piazza Castello, nel viso
sferzati dal gelo più vivo.

Passavano giovani gaie...
Avevo un cattivo sorriso:
eppure non sono cattivo,

non sono cattivo, se qui
mi piange nel cuore disfatto
la voce: "Che male t’ho fatto,
o Guido per farmi così?".

martedì 20 settembre 2016

LINEAMENTI DI DECORO URBANO: IL CASO BARDOLINO




di FRANCESCO GALLINA






Le ampie aiuole fiorite o piantumate ad ulivo e palma sono curate come fossero figlie. Non c'è un fiore fuori posto. Non potrebbe che essere così. L'amministrazione di Bardolino ha telefonato al conte Giuseppe Sigurtà, che di fiori se ne intende (il suo è il Parco è il più bello d'Europa), e ha stretto un accordo: tu mi pianti diecimila bulbi colorati e io faccio pubblicità al tuo magnifico Giardino.  Le cose devono essere andate più o meno così, e il Comune ci ha solo guadagnato, in bellezza e soldi, per l'esattezza 5000 euro. Si passa dal rosa al bianco al rosso. Adiacente ad ogni aiuola troviamo panche comode, lucide e resistenti. A prova di vandalo, mi verrebbe da dire. E sono di design raffinato, con forme rotondeggianti che ben si sposano con le sinuosità del lungolago. Ci vuole qualcosa che contrasti: ecco allora i lampioni a luci verticali. Bardolino non sarà la perfezione sulla Terra, ma una cosa è certa: chi la amministra, conosce il concetto di "decoro urbano". E non solo quest'anno, in cui è avvenuto il prolifico accordo con Sigurtà, ma anche gli anni precedenti in cui ho avuto il piacere di viverla.

Imbocco Borgo Garibaldi: sull'asfalto un artista ha trasformato i cubetti di porfido in quadretti. Alcuni sono dedicati a tema in linea col negozio davanti ai quali si trovano, altri sono a tema libero, altri ancora strizzano l'occhio alla moda Pokemon Go. Piccole cose, ma fatte bene, che rompono la monotonia di una strada qualunque. Laddove potrebbe vivere il grigiore, portano colore. E i colori sono importanti. L'isola di Burano, senza i suoi colori, sarebbe una isola bella come tante altre.







Le sorprese non sono finite. Passeggiando, incontro T-Riciclo. Sulle prime penso sia un venditore itinerante di gelati, poi chiedo informazioni, e scopro che si tratta di un mezzo ecologico a pedalata assistita, che si alimenta grazie ai pannelli solari collocati sul suo tettuccio. Dentro ci sono quattro bidoni. Un'idea della Serit di Verona, che ha concesso a Bardolino T-Riciclo al prezzo di zero euro per un anno. Insomma, potremmo dire in comodato d'uso (mi dicono infatti costi più di diecimila euro). Ma anche fosse, sarebbero soldi ben spesi. L'operatore ecologico fa il suo lavoro e lo fa ripetutamente durante tutta la giornata: avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro. Svuota i cestini e raccoglie cartacce, sigarette e quant'altro, offrendo una lezione di civiltà. Se un uomo raccoglie il rudo da terra - come si dice qui a Parma - vuol dire che a terra il rudo non ci deve stare. E infatti turisti e gardesani avranno i loro difetti, ma tengono alla pulizia delle strade come pochi altri. Non ho mai visto un sacco della spazzatura spiaggiato nelle strade del centro storico. A Bardolino, ma anche a Malcesine, Sirmione, Lazise, Desenzano. Non solo: ai lati della vettura, T-Riciclo riporta gli eventi più importanti dell'estate, incrementando l'interesse dei turisti per le proposte offerte dal territorio.



La morale è che il decoro urbano non è una bazzecola, ma un'arte che vive di grandi e piccole attenzioni. Una città come Parma può imparare tanto dalle realtà gardesane, cercando di capire, ad esempio, che la differenziata è fondamentale, ma c'è modo e modo di farla. 

Chi cura il verde pubblico e l'arredo urbano non pettina le bambole, ma semmai il cittadino e il turista, che godono di spazi ordinati, gradevoli e puliti. La bellezza non è necessariamente un vago ideale, ma può (e deve) diventare oggetto tangibile e appagante. Anche l'estetica è politica. 


venerdì 16 settembre 2016

ANCHE FARE I COMPITI DELLE VACANZE È UNA LEZIONE DI VITA



di FRANCESCO GALLINA








Avete mai riflettuto sulla conformazione di un'aula scolastica? No, cos'avete capito? Mica vi sto ponendo un quesito di architettura, no. Vi sto chiedendo, ad esempio, se avete mai ragionato sul perché la cattedra è più grande dei banchi. E perché è centrale, e non laterale. Non è una questione di ingegneria: è una questione di ruoli. Il maestro sta dietro la cattedra, l'allievo dietro al banco. Il banco è piccolo anche se l'allievo necessiterebbe di avere più spazio, e la cattedra è grande anche se il docente non ha bisogno di tutto questo spazio. Eppure le cose stanno così. Tra i banchini dei bambini e il maestro c'è di mezzo un tavolone. Non è un caso. Il tavolone è il lei, il banchino è il tu. Se ad esempio il maestro accetta il tu, gerarchicamente parlando il tavolone diventa anch'esso un banchino. 
Lo stesso vale se un genitore scrive una lettera ai docenti di suo figlio misconoscendo quello che i docenti hanno consigliato di fare, cioè i compiti delle vacanze. 

L'avrete capito: mi sto riferendo alla lettera rivolta da un padre agli insegnanti, scrivendo: "Sempre convinto del fatto che i compiti estivi siano deleteri non ho mai visto professionisti seri portarsi il lavoro in vacanza, anzi.", insistendo sul fatto che siano nocivi e che non servano a niente. Quello che serve - a suo parere - sono le lezioni di vita che un padre può dare al figlio solo durante i tre mesi di vacanze estive. Lungi da noi giudicare chi ha scritto quella lettera, ma abbiamo il diritto di giudicare la lettera. Facciamo finta che a scriverla sia stato Qfwfq e non quel padre in particolare. La persona in sé non ci interessa: ci interessano le sue parole. 

Concentriamoci sulle sole parole, dunque. Parole che sono state indirizzate a docenti, ma che sono state prima di tutto sparate orgogliosamente sui social. Non c'è niente di male. O forse sì. Perché, cosa che la stragrande maggioranza degli italiani non sa, i docenti sono PUBBLICI UFFICIALI ai sensi dell'articolo 357 del Codice Penale. Questo non significa che valgano più degli altri, che abbiamo un distintivo di intoccabilità. Significa solo che meritano, innanzitutto, rispetto, perché dopotutto o - anzi - prima di tutti, sono servitori dello Stato, non liberi imprenditori. Rispetto non significa asservimento, ma neppure zimbelaggio virtuale post-sessantottino. Perché, malgrado il Sessantotto volesse questo, il Sessantotto non ha vinto. Eppure il suo fantasma continua ad aleggiare. Ne troviamo tracce, ad esempio, nel fatto che la scuola divulghi "nozioni e cultura", come se ci si fermasse alle nozioni e la cultura fosse frittura d'aria. Resta nella dicotomia scuola/realtà, che sta a voler dire: la scuola è una cosa, poi c'è la realtà che è tutta un'altra; dimenticando che la scuola dovrebbe - e qui il condizionale è d'obbligo - insegnare a vivere, anche attraverso le nozioni. Sapere che Robespierre ha tagliato teste per poi finire decapitato, dovrebbe insegnare già di per sé qualcosa, soprattutto oggi che viviamo in mezzo a tagliatori di teste reali e virtuali. Resta nel fatto che la vita sia "altro" dal fare i compiti, questi maledetti. Eppure un giorno quel bambino, diventato adulto, dovrà farli, perché gli verranno imposti da un datore di lavoro. E se non sarà il datore di lavoro, sarà la vita.

C'è poi questa strana convinzione per cui si possa fare quel che si vuole, perché tanto "docenti, psicologi e avvocati" condividono il pensiero del no-compiti-delle-vacanze. Posso ancora capire docenti e psicologi, ma gli avvocati cosa c'entrano? E poi, di chi si tratta? 
Perché se un docente consiglia di svolgere i compiti delle vacanze a un bambino, quel bambino deve sentirsi autorizzato a sputare su quel consiglio perché ci sono cose migliori da fare? E anche se ci fossero, non è possibile conciliare le due cose? E, ancora, il figlio di Qfwfq non li ha fatti; ma se il figlio di Kgwgk li ha fatti, non è che penserà "Che stupido che sono, avrei potuto non farli e invece ho buttato via il mio tempo"? 

Infine, ammesso che i docenti siano d'accordo con questa lettera, che fine fa la loro autorità? E il ruolo dei compiti che hanno assegnato? Sono poi così terribili i compiti? Sì, se sono dati in quantità abnormi, ma se sono misurati e pensati per il bene del bambino, per la sua crescita e allenamento psichico, perché scavalcarli? Perché di questa decisione non parlarne con i docenti in privato e trovare un compromesso? Io li ho sempre fatti - tutto - e non sono ancora morto. Lo studio - diceva Gramsci - prevede fatica e sacrificio. Insomma: lo studio è disciplina. Di questa disciplina, il primo mattoncino sta nel rispettare i ruoli e i compiti. Che piaccia o meno, caduto quello, crolla tutto.


mercoledì 14 settembre 2016

MERCURIUS: QUANDO IL GIORNALISMO SI FA IN LATINO



di FRANCESCO GALLINA







Pochi se ne sono accorti, ma sull'«Avvenire» è (ri)nato qualcosa di talmente antico da essere incredibilmente rivoluzionario. La migliore risposta a chi il passato vorrebbe stritolarlo per sempre sotto una pietra. Non solo. Ciò di cui stiamo parlando è la soluzione ideale per un futuro ('futuro' indeterminato, che tende a +∞) docente di lingua latina come me che non potrà certo somministrare agli studenti le consuete classiche versioni nei compiti in classe, perché - è ormai consolidato - basta una connessione a Internet, una distrazione del professore, ed è Latino Splash che traduce per lo studente. Fino a ieri pensavo di creare versioni ad hoc, modificando abilmente gli incipit dei classici latini per contrastare in anticipo l'arte del copiaggio, cronicizzatosi con l'avvento degli I-phone. 

Poi, il 6 settembre 2016, leggo sull'«Avvenire» il primo articolo di Mercurius, la rubrica interamente in latino a cura di Luigi Miraglia che, per chi non lo conoscesse, insegna 'elementi di conversazione e composizione latina' al Pontificio Istituto Superiore di Latinità. Cioè? Cioè insegna a pensare, a scrivere e a parlare fluentemente in lingua latina, quella strana cosa vituperata dal Ministero dell'Istruzione. 

Luigi Miraglia è un mito vivente: se avete un secondo di tempo cercate le sue lezioni e i suoi discorsi su Youtube e resterete allibiti. In senso positivo. Le sue lezioni sono figlie del metodo natura di Hans Henning Ørberg, di cui è uno dei massimi promotori e prosecutori. In che cosa consiste? Nel considerare il latino non come un cadavere puteolente di odiose regole grammaticali, ma come un corpo vivo e vegeto in cui immergersi con sicurezza e senza soggezione. Non esiste altra lingua all'infuori del latino: grammatica, ortografia e sintassi si spiegano in latino, le domande si porgono in latino, le risposte pure. Insomma: si vive il latino parlando latino. Certo, l'influsso delle lingue regionali si fa percepire nell'italiano contemporaneo, ma questo non è un problema, come non lo deve essere per un fiorentino che si relaziona con un londinese in perfetta lingua inglese, nonostante la sua probabile gorgia toscana. 

Ma ritorniamo a Mercurius. Mercurius si pone sulla linea delle rubriche del passato curate da latinisti per il medesimo quotidiano, da don Roberto Spataro al professor Moreno Morani. Il meccanismo editoriale consiste nel pubblicare il primo testo in latino e, la settimana seguente, il testo tradotto in italiano. Il 6 settembre, per esempio, esce In memoriam terrae motus Amatriciani, un intervento di straordinaria potenza espressiva che Miraglia apre con il verso 630 dell'Eneide: "Ho conosciuto anch'io il dolore, e ho imparato a soccorrer gli afflitti". Ieri compare la traduzione insieme a un nuovo scritto che, ispirandosi a fatti del passato proposti sotto forma di parabole, si conclude con un invito di pace: "[...] quantum possint bonae litterae ad odia et inimicitias sedandas; quod forsitan et nunc, cum talia mala resurgere videamus, meminisse iuvabit.". 
Perché dobbiamo tenerlo bene a mente: lo studio serio e filologico della lingua e della letteratura - qualunque esse siano - è il primo passo per stabilire un contatto pacifico e proficuo con la propria cultura e con la cultura altrui. La lingua non è aria fritta: conoscerla e rispettarla ci rende degni di essere annoverati nel consorzio umano.

domenica 11 settembre 2016

LA TRANSUMANZA, IL CONCERTO ITINERANTE NEL CENTRO STORICO DI PARMA



di FRANCESCO GALLINA







Portare musica antica nelle strade affollatissime del centro storico di Parma è una sfida che solo musicisti coraggiosi possono affrontare. E se all'audacia aggiungiamo talento e professionalità, ecco che la solita 'vasca' parmigiana, tutta chiacchiere e shopping, può trasformarsi in un'esperienza unica e originale. Sto parlando del primo eclettico appuntamento dell'EARLY MUSIC FESTIVAL*, patrocinato dalla Casa della Musica e dalla Regione Emilia-Romagna, giunto alla sua ottava edizione. Per questo 2016 Maria Caruso, presidente dell'Associazione Silentia Lunae, ha deciso di dedicare un pomeriggio al tema della transumanza, organizzando un concerto itinerante per le vie del centro storico. Grandi protagonisti di sabato 19 settembre sono stati, oltre alla violinista e soprano Maria Caruso e il liutista Richard Benecchi, i Pedra - Gruppo Folkloristico Miradolese conosciuto a livello internazionale per la collaborazione con il liutaio catalano Césc Sans I Sastre e con il Festival Internazionale di Scapoli. Ospiti, il maestro zampognaro Alberto Bertolotti e... il sottoscritto, che ha funto da voce narrante, proponendo al pubblico intermezzi poetici: figure centrali la capra e la pecora, declinate nei loro aspetti mitico-ancestrali e pagani, cristiani ed evangelici.






Fra Cantigas de Santa Maria e composizioni monofoniche di Marcabru, i musici - come pifferai magici - guidano e attirano il pubblico presso alcuni gioielli dell'arte parmigiana: dal Battistero alla Chiesa di Santa Lucia, dalla Steccata alla Chiesa di San Giovanni Evangelista. L'esperimento riesce a catturare l'attenzione di tutti, dai più scettici giovanissimi tutti presi a messaggiare con le cuffie alle orecchie fino al pubblico più adulto. Anche l'effetto straniamento ha giocato la sua parte: un concerto per arpa, liuto, ciaramella e zampogne nel bel mezzo di settembre risulta inaspettato. Molti pensano: le zampogne sono cose da Natale. E invece non è così. 
Ottimo anche l'accostamento di brani poetici alle esecuzioni musicali, passando da Jacopone da Todi a D'Annunzio, da Dante a Trilussa, da Alfonso Maria de' Liguori fino a Nazareno Mattei, poeta di Amatrice, terra di transumanza.






Parma, quindi, non è solo Verdi. Simili progetti hanno il pregio di divulgare musica 'altra', 'altra' per come noi italiani siamo soliti considerarla, peccando di pregiudizio. Rivalutare filologicamente gli antichi saperi, la musica popolare e artigianale, diffondere il suono di strumenti millenari è il primo passo per riprendere in mano le nostre radici e affrontare con coscienza la musica dei giorni nostri. E ricordate: quando sentirete il suono stridulo e belante di una zampogna, quella non è la zampogna - dicono i pastori - ma la voce della capra sacrificata per costruire la zampogna stessa. E se è vero, allora vuol dire che le capre possono scuotere un noioso pomeriggio di movida. Impariamo ad ascoltarle.








*http://www.lacasadellamusica.it/joomlacdm/index.php?option=com_content&task=view&id=1442&Itemid=2

sabato 3 settembre 2016

UN POETA A CASO, MA NON TROPPO: GIOVAN BATTISTA MARINO




di FRANCESCO GALLINA



Stiamo vivendo giorni di sanguinolenti pestaggi virtuali che non ci rendono onore. Un affastellarsi di polemiche moraliste e morali polemiche. Prima il terremoto scatena il Dies Irae sui social, poi Charlie Hebdo pubblica una vignetta sì schifosa, ma in perfetta linea con il profilo editoriale della rivista. E anche qui cola la lava dell'indignazione e ci si fa paladini di tabù, perché - si dice - c'è un limite a tutto e sulla morte non si scherza. Da rivoluzionari #jesuischarlie ci scopriamo furibondi contro una vignetta. Mi riferisco alla prima, che può avere più strati di lettura e si colloca nel genere del black humor, che - purtroppo o per fortuna - non guarda in faccia a niente e a nessuno. La seconda, invece, è frutto di ignoranza e basta.

Che l'abbiate reputata una buona vignetta o un'abominazione, avete fatto quello che Charlie voleva. Nel bene e nel male, Charlie è ontologicamente questo. 
La domanda è: nel 2016 possiamo affrontare in modo distaccato le espressioni poietiche (nel senso di poiesis) senza necessariamente indignarci? Non vale solo per Charlie. Vale per ogni campo. E vale anche per artisti notevoli del calibro di Courbet, che dipinse su una tela le parti intime di una donna. Siamo liberi di considerarlo uno scandalo peccaminoso. Oppure studiarlo con serenità, e scoprire che magari è un capolavoro (e con 'capolavoro' non alludo di certo alla vignetta incriminata).

Così si può fare anche con la satira antica, che da Persio in poi è concepita sempre più come dolorosa operazione chirurgica contro i paradossi della realtà. Insomma, qualunque sia la sua forma, la satira non è mai piacevole. L'importante è che non si trasformi in pura mediocrità. Ce ne dà un ottimo esempio Giovan Battista Marino nella sua irresistibile e violenta Murtoleide. Violenta come violento è il bersaglio preso di mira, il poetastro genovese Gaspare Murtola, segretario del duca di Savoia. Tra i due non scorre buon sangue sin da quando si conoscono a Roma. L'incontro alla corte torinese scatena dissapori talmente velenosi che il Murtola attenta alla vita di Marino, che in una delle sue epistole ricorda: "Si appostò con una pistoletta carica di cinque palle ben grosse, e di sua propria mano molto da vicino mi tirò alla volta della vita. Delle palle tre ne andarono a colpire la porta d'una bottega che ancora se ne vede segnata; l'altre due mi passarono strisciando su per lo braccio sinistro". D'altronde, il Marino defrauda ogni possibilità del Murtola di impossessarsi del cavalierato. Il duello fu armato e poetico. Il Murtola scrisse la Marineide, il Marino scrisse la Murtoleide (1619), raccolta di 81 sonetti burleschi detti fischiate da cui traiamo Il Murtola letterato. Versi taglienti, pieni di affilato sarcasmo, che potrebbero essere agevolmente applicati ai tanti pseudo-poeti contemporanei. La satira - ce lo insegna lo studio pacato e distaccato della letteratura e della storia - è eversione dai tabù: può desiderare anche la morte di qualcuno e non ha peli sulla lingua. Di una cosa siamo certi: per fortuna Facebook, ai tempi del Marino, non esisteva. 
Per la consueta rubrica poetica del sabato, #busillisblog accompagna il sonetto del Marino con la vignetta satirica e caricaturale che Andre Gill fa di Leon Brissé, detto Baron Briss, uno dei più famosi critici culinari dell''800. Compare infatti su «La Lune», giornale satirico fondato nel 1865.


IL MURTOLA LETTERATO

dalla MURTOLEIDE di GIOVAN BATTISTA MARINO







     Questa bestia incantata elefantina
s’allaccia tra la plebe la giornea,
e parla d’Agamennone e d’Enea,
per dimostrar ch’egli ha qualche dottrina.
     Ma non s’accorge che la medicina,
atta a gonfiar la sua prosopopea,
sará forse la forca o la galea,
over esser coverchio di latrina.
     Pur li perdonerei questo peccato;
ma, quando egli in dozzina si framette
con gli scrittori, a far il letterato,
     viemmi una rabbia de le maledette
di dargli in testa un Dante comentato,
di stampa antica, con le tavolette.






giovedì 1 settembre 2016

SALÒ, O LE 12 CHICCHE DI SGARBI



di FRANCESCO GALLINA*


Tiziano, Veronese, Ponzone, Carpioni, Lama, Liberi, Longhi, Fontebasso, Pitloo, Morelli, Mancini, Volpe, Previati, Boldini, e ancora de Chirico,  Morandi, Savinio,  De Pisis, Casorati,  Bonzagni. Questo e altro è Da Giotto a de Chirico, la galleria pittorica e scultorea allestita da Vittorio Sgarbi a Salò sul Garda, aperta al pubblico dal 13 aprile al 6 novembre 2016. Il biglietto dà diritto anche alla visita del MuSa, inaugurato nel 2015 nello spazio della ex chiesa di Santa Giustina, che quest'anno consta delle mostre temporanee Il culto del duce e Gasparo nell'anima, oltre ai permanenti Osservatorio Meteosismico e le sale dedicate alla storia di Salò. 
Frequentata meno di quel che ci si aspetterebbe, la mostra di Sgarbi è strutturata cronologicamente e offre allo spettatore una selezione notevole di opere per qualità e quantità. Immerso in tanta bellezza, #busillisblog ha selezionato per voi 12 chicche. 





PROTOME FEMMINILI risalenti alla metà del secolo XIII. Pura seduzione federiciana.



SAN GIOVANNI EVANGELISTA di Tino Camaino. A cavallo fra XIII e XIV secolo, il 'Giotto della scultura' stupisce con un polso plastico, per i tempi più unico che raro. 





SALOMÈ di Francesco Prata da Caravaggio. In pieno Rinascimento, e non potrebbe essere altrimenti data la precisione anatomica con cui viene ritratta la mano sinistra sotto il panno bianco.





IL RITORNO DEL FIGLIOL PRODIGO di Mattia Preti. Il pittore - e cavaliere di Malta - del '600 dipinge una minuscola mosca così bene, ma così bene, che quasi stavo per scacciarla. 







RITRATTO ALLEGORICO di Pietro Paolini. Che a Sgarbi piacciano le nudità è chiaro sin da subito. E fa bene. Questa allegoria seicentesca carnale e sfacciata fa da contraltare pagano al puro seno della Madonna del latte di Marco Basaiti.




LUCREZIA di Giuseppe Nuvolone. Che cosa vedono i miei occhi? A casa mia si chiama plagio, ma in tempi di Manierismo era più che lecito. Provate un po' a confrontare questa mano con quella della Schiava turca del Parmigianino, poi ditemi. 





IL SACRIFICIO DI JEFTE di Adrea Celesti. Il sacrificio consta nell'uccisione della figlia. Punto criticissimo dell'Antico Testamento su cui si è scannato il fior fiore dei teologi. Il pittore ci dà talmente dentro nel tragico, che il risultato è quasi comico.





WUNDERKAMMER di Carlo Manieri. Sembra di essere nelle stanze del Piacere di D'Annunzio. Due secoli prima.






LA MADRE di Felice Carena. Siamo nel 1904, in una casa poverissima. Quella potrebbe essere la moglie di uno degli uomini del Quarto Stato di Pelizza da Volpedo. E il figlio uno dei più bei infanti che mi ricordi di aver visto sino ad ora. Gli occhi sono un capolavoro. 






NOTTE LUNARE di Benvenuto Benvenuti. Il Van Gogh italiano.






PROFILO CONTINUO DEL DUCE di Renato Bertelli. L'opera di un futurista geniale. Il Fascismo è totalistarismo? E allora ecco il duce totale e continuo, ovunque lo si guardi. Fu un successo: l'opera di Bertelli, intendo.





*Le foto sono di Francesco Gallina