martedì 24 maggio 2016

OFFICINA PARMIGIANA: UN PROGETTO PER IL PRESENTE




FRANCESCO GALLINA






Prima vennero i figli della Grande Guerra: Ildebrando Cocconi, Jacopo Bocchialini, Ugo Betti, Ferdinando Bernini,  Renzo Pezzani, Ada Ravasi. Poi venne il tempo dell'Officina Parmigiana, espressione di grande efficacia che Pier Paolo Pasolini coniò nell'omonimo articolo inserito in Passione e Ideologia (1960). In quella formula c'era l'idea del fare, del plasmare la parola per farne arte, ma un'arte che cela impegno, lavoro, sudore, lima. Quella formula conteneva in nuce l'idea della poesia come artigianato, il produrre poesia come atto intellettuale che unisce nella diversità. Il termine officina on certo intendeva una proletarizzazione della poesia, una volgarizzazione o una sua banalizzazione per il popolino. Per dirla in altri termini, non si riferiva al fare poesia che accomuna molti (non tutti) oggi, il cosiddetto "buttar giù versi". Perché i versi si curano, non si buttano. Li butta, i versi, chi non sa cosa cosa sono, e li confonde con i righi mandati a capo. Pasolini si riferiva a una poetica a cavallo fra avanguardia e tradizione, poetica che sorgeva dal Po, dalla Bassa, dal Cinghio. Poetica intrisa di parmigianità, ma senza scadere nel patriottico o - peggio ancora - nel campanilismo. 

L'Officina Parmigiana ha un maestro, Attilio Bertolucci, e alcuni allievi più o meno allineati al suo magistero, quali Alberto Bevilaqua, Giorgio Cusatelli, Gian Carlo Conti, Pier Luigi Bacchini e l'ancora vivo e vegeto (poeticamente vegetissimo) Gian Carlo Artoni, poeta-avvocato che, dopo un silenzio di quarant'anni, ha ripreso prolificamente a scrivere. Un fiume in piena. Proprio poco tempo fa è stata presentata da Luigi Alfieri e Paolo Briganti la sua ultima raccolta La luna bianca (Diabasis, 2016). La bertolucciana poetica dell'extrasistole li accomuna. Che vuol dire poter trarre poesia anche da un sasso: non è il sasso a essere poetico in sé, ma il poeta che sa trarne fuori la poesia come un novello fanciullino pascoliano dinnanzi alla semplicità nascosta delle cose.

Dove voglio andare a parare? Al fatto che anche oggi a Parma ci sia un gruppo di poeti che potrebbero portare avanti l'Officina Parmigiana. Forse l'Officina Parmigiana non è mai morta e vive cuccia sotto le altisonanti dichiarazioni politiche, dietro gli scandali, al di là delle cattive amministrazioni. Cosa c'entra la politica? C'entra, perché anche la poesia è politica, ed è politica buona laddove è fatta bene e ben costruita. Penso a Giuseppe Marchetti ed Edoardo Sanguineti, che diedero vita all'ottima rassegna estiva Parma Poesia Festival, che convogliava sotto i Portici del Grano (e non solo) grande pubblico per grande poesia: Luciano Erba, Maurizio Cucchi, Aldo Nove, Antonella Anedda, Nanni Balestrini, Maria Grazia Calandrone, Mariangela Gualtieri, Angelo Mundula sono solo alcuni ospiti dei tanti che hanno fatto visita alla nostra città. Non era un salotto chic, nemmeno un tentativo di rendere la poesia pop, come alcuni grandi eventi contemporanei si propongono infingardamente di fare.  Si parlava di poesia seriamente, ma avvicinandola al pubblico. Se Maometto non va alla poesia, la poesia deve andare da Maometto. 
Nel 2014 il Festival è defunto. 
Ci sono amministrazioni che investono negli eventi di poesia, anche quelli che non meriterebbero di definirsi tali, prestando loro sale comunali e offrendo loro altisonanti sponsorizzazioni. 
C'è una nuova generazione di poeti e di scrittori di qualità che Parma merita di ascoltare, leggere, vedere, apprezzare. Valorizzare. È un percorso che deve vedere la luce, cioè non deve vivere di sporadici ed elitari salottini, e deve investire prima di tutto sulle meritevoli leve locali. Se leggere poesia non equivale a farne, non esiste poeta che non legge, e i poeti che non leggono oggi sono il 90%. Fare poesia non significa solo parlare di bei sentimenti, di alberi in fiore, di amori puri. C'è nella poesia una concretezza di ritmo (questo sconosciuto) e linguaggio che dev'essere riscoperta. A Parma c'è un nuovo orto da coltivare. Una scritta vandalica (ma bella) campeggia sul margine del torrente Parma: SENZA POESIA NON C'È CITTÀ. Ripartiamo da qui.

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