di FRANCESCO GALLINA
#busillisblog inaugura la nuova settimana con un'intervista a Vera Bonaccini, collaboratrice della fresca Matisklo Edizioni e dell'originale rivista Bibbia d'asfalto, nonché voce di rottura nel panorama della buona letteratura italiana contemporanea (che non è tanta). Nessun clima bucolico o romantica glicemia poetica, ma un uso crudo e tagliente della parola, che sa farsi strada nell'asfalto della metropoli e della periferia. Quando la parola sa essere aderente alla monotona e routinaria realtà quotidiana, creando crepe, inediti punti di vista.
Siamo lieti di ospitare sul nostro blog la scrittrice Vera Bonaccini. E allora, benvenuta su #busillisblog, Vera!
Con un certo adorabile
velenoso sarcasmo li chiami PDF, gli infidi poetastri di Facebook. Dacci il tuo
punto di vista sullo stato e sullo statuto di certa squallida poesia italiana
contemporanea. Quali sono gli errori e gli orrori che l’industria poetica,
oggigiorno, commette?
Beh,
per prima cosa, dell'illeggibile anticostituzionale orribile poesia.
Girovagando per la rete si trovano obbrobri tali (anche dal punto di vista
grammaticale) che, leggendoli, viene istintivo cavarsi gli occhi con un
cucchiaino da caffè. Il mio gatto, rotolandosi sulla tastiera, scrive cose
decisamente migliori.
La
democratizzazione dell'arte, se è una cosa estremamente positiva dal punto di
vista della fruizione della stessa, in quanto essa smette di essere appannaggio
di una classe elitaria e tutti possono goderne liberamente, diviene però
un'arma a doppio taglio per quanto riguarda invece l'aspetto della creazione
artistica: possedere una connessione a internet non fa automaticamente di una
persona un poeta (come non ne fa un medico o un esperto di scienze politiche,
se ci riferiamo ad altri campi). Oltre al talento, che è imprescindibile, sono
fondamentali anche la voglia di studiare e di migliorarsi; conosco 'poeti' che
dichiarano orgogliosamente di non leggere poesia e, difatti, scrivono cose che,
difficilmente, possono essere definite poesie.
Il
problema di fondo di questo proliferare di 'poeti' è, secondo me, l'esistenza
dell'editoria a pagamento, quella che nei paesi anglosassoni si chiama vanity
press; se chiunque, pagando, può pubblicare un libro di poesia, allora chiunque,
pagando, può assurgere al ruolo di poeta. È un discorso ampio, difficile da
affrontare in poco spazio. Per riassumere, citando “Forma e Sostanza” dei CSI,
“Comodo ma come dire poca soddisfazione...”
Sei redattrice di "Bibbia d’Asfalto", rivista che si definisce di poesia urbana e autostradale. Ti
chiedo, allora: quali sono le potenzialità della parola poetica nell’alienante,
routinario e opprimente mondo dell’asfalto e del cemento armato?
Io credo che oggi la poesia debba nascere dalla strada; volenti
o nolenti, viviamo in un mondo fatto di cemento. La poesia, la poesia vera
intendo, ha lo scopo di raccontare la realtà. Ha senso scrivere poesia bucolica
quando si vive in periferia tra le case popolari o si trascorrono otto ore in
un call center? Secondo me quella che, apparentemente, si presenta come una
contraddizione, ovvero il rapporto tra poesia e ambiente urbano, scavando più
in profondità, si mostra, invece, come un rapporto di tipo necessario.
L'alienazione e il disagio provocati dal vivere in un ambiente artificiale con ritmi altamente frenetici,
come quello cittadino, spingono a ricercare la bellezza, in una sorta di
autodifesa mentale, e la poesia si presta bene, come linguaggio, a raccontare
questo contesto, proprio perché ha delle caratteristiche peculiari adeguate.
Quello poetico è un tipo di linguaggio estremamente moderno; è rapido, visivo,
addirittura musicale per certi versi. Perfetto per raccontare questo tempo così
feroce.
D'altronde, negli ultimi anni, si è finalmente assistito a un
vero e proprio cambiamento nel mondo poetico, che è passato dal muoversi in
ambienti chiusi su se stessi (circoli letterari, associazioni culturali, ecc)
ad ambienti aperti a tutti; penso ai reading
poetici nelle piazze e nei locali, ai poetry slam, fino ad arrivare alla
poesia di strada vera e propria ad opera di artisti come Opiemme, Ma Rea, Ivan,
o al M.E.P. (Movimento per l'Emancipazione della Poesia).
Finalmente la poesia riprende il suo spazio per le strade,
tra la gente. È un momento bellissimo!
Parlaci della tua
poetica. Perché fare poesia? E, soprattutto, che cos’è fare poesia? Prodotto
divino o umano lavoro di bulino?
Perché fare poesia? Bella domanda... per me scrivere è
un'esigenza, un bisogno vero e proprio; diciamo che la poesia è il mio modo di
filtrare il mondo, di comprenderlo e di rielaborarlo, per potere poi andare
oltre. Il poeta secondo me deve essere una sorta di cartina di tornasole del
reale. Spesso mi è stato detto che la mia poetica è troppo aggressiva o troppo
cinica; sarà. A mio parere l'arte può definirsi tale se provoca nel fruitore un
moto di ribellione, la convulsione di cui parlava Breton, il 'bello' non basta,
è necessaria la provocazione, l'arte deve provocare un'azione. Non mi interessa
scrivere per sentirmi dire quanto è bello ciò che ho scritto, mi interessa che
il lettore tragga spunto da una mia riflessione per crearsene una propria. Ci sono 'poeti' che trascorrono il tempo a
scrivere poesie sulle farfalle mentre a pochi chilometri da qui scoppiano le
guerre e la gente muore... io non li definirei poeti, per quanto mi riguarda è
'gente che scrive in verticale'; i poeti veri sono ben altro.
Per quanto riguarda il lato tecnico dello scrivere poesia,
direi che è al 90% ispirazione e al 10% lavoro di cesello. Non revisiono
eccessivamente quello che scrivo, ad essere onesta. Ovviamente posso farlo
perché scrivo in forma libera, scrivessi haiku o sonetti, il discorso,
chiaramente, sarebbe diverso.
Quali sono – se ci
sono – i tuoi punti di riferimento nell’arte e nella letteratura passata e
contemporanea? In un contesto di forte rottura nel quale ti collochi, qual è –
e soprattutto – sussiste un rapporto con la tradizione? Di che tipo?
Per quanto riguarda la poesia apprezzo moltissimo Izet Sarajlić, poeta bosniaco, membro del “Circolo 99” di
Sarajevo, che è stato un vero e proprio simbolo di resistenza culturale durante
l'assedio della capitale multietnica negli anni Novanta. Altro autore che mi
piace molto a livello poetico è Raymond Carver, nonostante sia conosciuto ed
apprezzato principalmente per i suoi racconti.
Una poetessa fantastica e troppo poco conosciuta è Jana Černá. Poi i
poeti della Beat Generation: Ginsberg, Kaufman, Corso, Ferlinghetti, Orlovsky.
I surrealisti: Breton, Eluard, Artaud, Char, Bataille, Queneau. In Italia,
Antonia Pozzi, Amelia Rosselli, Edoardo Sanguineti, Dino Campana, Camillo
Sbarbaro, Eugenio Montale... mi fermo qui perché andrei avanti per ore.
Credo che ci possa essere una
vera e propria rottura (sia dal punto di vista degli argomenti trattati, sia
dal punto di vista dello stile) solo se si conosce bene la tradizione,
altrimenti più che di rottura, parliamo di posa. Conoscere quello che c'è stato
prima è fondamentale per definire una propria identità, sia in un senso di
continuità, sia in un senso di distacco. D'altronde, se ci troviamo dove ci
troviamo, è perché qualcun altro in un precedente momento ha fatto, o non ha
fatto, determinate scelte. Come si può prescindere da questo?
Per Matisklo curi
“Vertigini”: quali sono le caratteristiche peculiari dei testi che compongono
questa collana?
La collana che curo per Matisklo, Vertigini, si occupa di
narrativa contemporanea. Al suo interno si trovano libri molto diversi per
quanto riguarda il genere trattato; tanto per dare un'idea, cito due titoli che
rappresentano forse gli antipodi in questo senso: Scusa, Ameri – i diari
del calcetto di Alberto Calandriello che è testimonianza di una passione, quella per il Calcio (giocato,
pur non avendo chissà quali capacità) e, allo stesso tempo, parodia dello
stesso, dei discorsi, delle situazioni che si creano attorno ad un gruppo di
amici che - da anni - si ritrovano settimanalmente per giocare a calcetto, e Diario
di una fatina tossica di Jelena H. che racconta, come si evince dal
titolo, la storia vera di una dipendenza dall'eroina.
Quello che
unisce questi libri e gli altri pubblicati in Vertigini è l'originalità con cui
determinati argomenti vengono trattati; quando seleziono i manoscritti per la
pubblicazione cerco sempre di non cadere nel banale. Prediligo un libro
interessante a un libro magari più facilmente vendibile, ma banale. Mi piace
pubblicare buoni libri. Penso ai lettori. È un discorso che viene fatto anche
nelle altre collane di Matisklo Edizioni; puntiamo a essere contrabbandieri di
parole, prima che venditori di libri.
Vogliamo saperne di
più su due tuoi lavori dai titoli particolarmente attraenti: Cartoline da un paese in dismissione e Biologica al 97% - poesie lomografiche.
Biologica al 97% - poesie lomografiche risale al 2012, è
un libro che ho autopubblicato, un vero esperimento di DIY in puro stile punk
(ho disegnato io anche la copertina). Il riferimento alla lomografia nel titolo
è dovuto al fatto che le poesie che lo compongono sono state scritte d'istinto,
con un lavoro di revisione pressoché nullo, se non del tutto inesistente. Mi
piaceva l'idea di una serie di istantanee non scattate ma scritte, buttate a
caso, senza pensarci troppo. Come ho scritto nell'introduzione: “Le 10 regole della fotografia lomografica recitano: "Porta
la tua lomo ovunque tu vada. Usala sempre di giorno o di notte. La lomografia
non è un'interferenza nella tua vita, ma ne è parte integrante. Scatta senza
guardare nel mirino. Avvicinati più che puoi. Non pensare. Sii veloce. Non
preoccuparti in anticipo di quello che verrà impresso. Non preoccuparti neppure
dopo. Non ti preoccupare di queste regole. Questa la fotografia lomografica.
Ora ditemi, non vi ricorda la poesia?"
Cartoline da un paese in dismissione è uscito nel 2013 per le Edizioni La
Gru di Padova, con cui avevo già pubblicato alcuni testi in due antologie, un
racconto in Nagasaki Luna Park (insieme a Nucleo Negazioni) e una poesia
nell'antologia Guadagnare soldi dal Caos. È un libro molto arrabbiato,
in cui racconto un'Italia allo sfascio, priva di qualsiasi punto di
riferimento, sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista culturale.
È un libro profondamente nichilista, l'inizio di un percorso che è poi sfociato
nel mio ultimo libro, Little Town Blues.
E allora ti salutiamo chiedendoti di darci qualche dritta su
Little Town Blues, la tua ultima raccolta di poesie fra periferia ed
emarginazione poetica.
Little Town Blues è uscito l'anno scorso per Matisklo
Edizioni. Little Town Blues è un'espressione derivata dalla canzone New
York New York di Frank Sinatra e si usa per indicare la depressione derivante
dal vivere in un piccolo paese. L'ho
scelta come titolo non solo riferendomi all'Italia in sé che, a parer mio, non
perde occasione per dimostrare quanto sia un “piccolo paese”; penso, ad
esempio, alle polemiche sul gender degli ultimi tempi, ma anche, e soprattutto,
a quella che è la realtà dei vari blog e collettivi letterari attivi sul
territorio che, salvo rari casi, troppo spesso si trasformano in realtà sterili
in cui si dà peso solo a pochi eletti, a discapito di una vera ricerca,
valorizzazione e diffusione della cultura. La poesia non è intesa come un fine
a cui tendere, ma viene ridotta a un semplice mezzo attraverso cui incanalare ed esaltare l'ego dei poeti coinvolti. Triste, ma per fortuna esistono le eccezioni. Rispetto al libro precedente, Cartoline,
è presente molto meno nichilismo; sarcasmo e ironia prendono il posto della
rabbia, e c'è una nuova voglia di ricominciare, sia per quanto riguarda
l'ambiente poetico, sia per quanto riguarda la vita di tutti i giorni. È il
punto di arrivo di un viaggio, il punto di inizio di un altro.