lunedì 30 novembre 2015

VA' PENSIERO: UNA DICHIARAZIONE DI SOTTOMISSIONE



di FRANCESCO GALLINA





L'ode scritta da Temistocle Solera per l'opera verdiana del 1842 è un testo di per sé dignitoso e musicato divinamente - anche se Rossini lo definì una "cavolata" - ma oggi strumentalizzato politicamente e ideologicamente.

Il Va' pensiero è ovunque. Come il prezzemolo, ce lo ritroviamo anche nel luogo dove avrebbe meno senso in assoluto: la commemorazione delle vittime della strage al Bataclan. Evidentemente, chi lo usa come inno patriottico si basa sul "sentito dire", non certo deve averne mai compreso il vero significato. E non ci vuole un genio della critica per farlo. 

Spieghiamoci meglio: da chi è rappresentato il coro? Da schiavi. E disperati, per lo più. Sono gli ebrei che patiscono e ardono nel loro cocente dolor. Perché? Perché sono ridotti in schiavitù nell'Egitto governato da Nabucodonosor. Non per altro il coro si trova nel terzo atto del Nabucco. Verdi propone il tema della diaspora, e così lo farà in molte altre sue opere, dall'Ernani al Macbeth, dall'Alzira ai I vespri siciliani. Il pensiero è la memoria del suolo natio, il “suolo natal” di cui l’esule ricorda con nostalgia i “clivi” e i “colli”, le rive del Giordano, le torri di “Sionne”. Si tratta di una visione, un'apparizione sognante delle proprie terre perdute, che viene riflessa nella dimensione di un possibile ritorno. La condizione dell'apolide è descritta alla perfezione: l'esule trae conforto dal ricordo, ma è un'arma a doppio taglio, perché prova allo stesso tempo l'atroce dolore per la distanza fisica e geografica. Si tratta, insomma, di un pianto lacrimevole proclamato con ritmo sincopato e concluso in sordina. 

Bene. Se io decido di usare questo inno nel giorno in cui si ricordano le vittime di terroristi islamici, cosa ne posso dedurre? Che la Francia non è più libera e che è schiava dei terroristi islamici, che non è più patria e che piange un passato che, forse, non ritornerà più. Quindi siamo di fronte ad una dichiarazione di sottomissione. Perfetto. Aggiungiamoci che Islam significa sottomissione è il gioco è fatto. All'occhio del contemporaneo, il Va' pensiero, può essere letto anche in modo molto più letterale, eppur comunque veritiero. Se intendiamo il pensiero freudianamente (e non come vaga memoria), il pensiero che se ne va è proprio quello dello schiavo che è costretto ad abbandonare il proprio pensiero per adeguarsi a quello del conquistatore. D'altronde, la Francia, conosce bene il terrorismo e parte del suo pensiero migliore lo ha visto cadere sotto la ghigliottina di uno dei terroristi più radicali, eppur osannati: Robespierre.

Cosa dedurne? Che chi usa il Va' pensiero come simbolo di libertà manifesta invece la propria sottomissione, il proprio stato di derelitto, ostentando la propria fragilità nei confronti di chi vuole farne uno schiavo. Quando le ragioni di un unico Dio padrone vogliono imporsi sul singolo individuo (elemento caratteristico dell'Islam), la prima cosa che se ne va è proprio l'unico elemento che distingue l'uomo dalle bestie: il pensiero.

Nessun commento:

Posta un commento