di FRANCESCO GALLINA
"Lo si può leggere fra Li Po e Po-Chu-i, senza troppo avvertire il salto dei secoli". Così Montale parlava della poesia govoniana in un articolo sul «Corriere della Sera». C'era forse nel giudizio del poeta genovese un'esagerazione, ma non si sbagliava, su certe atmosfere che sembrano provenire direttamente dall'antica poesia cinese, quella del secolo VIII. Nella prima produzione di Corrado Govoni c'è innanzitutto il colore vivace con cui dipinge gli oggetti e una realtà che, altrimenti, sarebbe crepuscolare. Si respira decadenza, l'aria in cui ama oziare D'Annunzio nei suoi palazzi tripudianti di manufatti artistici.
Nel primo volume di poesie Le fiale, pubblicato nel 1903, il Govoni pre-futurista sembra provenire da quel mondo raffinato, strutturato su delicate analogie. Per la consueta rubrica del sabato, #busillisblog propone un sonetto. Il poeta non si sofferma sull'arte cinese, ma giapponese: immersi nel profumo del mughetto e della peonia, scorgiamo una fanciulla tipica delle case di piacere, mentre trapunta "d'insetti un paravento". Il tutto si rispecchia in un fiabesco laghetto color "maiolica lampone". Puro liberty.
Accompagniamo la poesia con un inchiostro su carta di Wang Mian, risalente al secolo XIII: un delizioso Pruno in fiore conservato a Taibei.
VENTAGLI GIAPPONESI: PAESAGGIO
da Le fiale (1903) di CORRADO GOVONI.
La casina si specchia in un laghetto,
pieno d'iris, da l'onde di crespone,
tutta chiusa nel serico castone
d'un giardino fragrante di mughetto.
Il cielo dentro l'acque un aspetto
assume di maiolica lampone;
e l'alba esprime un'incoronazione
di rose mattinali dal suo letto.
Sul limitare siede una musmè
trapuntando d'insetti un paravento
e d'una qualche rara calcedonia:
vicino, tra le lacche ed i netzkè,
rosseggia sul polito pavimento,
in un vaso giallastro una peonia.
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