di FRANCESCO GALLINA
Ne è passato del tempo, ma non mi sono ancora spiegato perché la Grecia si sia convinta di avere una sua privilegiata e, per così dire, naturale condizione tale per cui dovrebbe avere il diritto e la precedenza di ricevere più attenzioni rispetto ad altri Stati da parte della Germania. La Grecia è uno Stato da anni completamente allo sbando e fino all’altro ieri erano solo solo 350 i miliardi di debito che dovrebbe saldare. Ora sono molti di più. Dovrebbe: condizionale fu più necessario. Eppure debito deriva da de-habere, mancare di qualcosa che si chiede in prestito a patto che venga restituito con tutti gli interessi. Ma la Grecia attuale non conosce obblighi, considerando le date di scadenza come puri suggerimenti. Della serie: aspetta e spera. Tsipras lo sa, ma finora ha fatto finta – e neanche tanto – di fare il bullo ideologo. A tutto, però, c'è un limite: e infatti, non sapendo più dove mettere le mani, decide di dimettersi dal governo. Distinguere, nella vita, è di vitale importanza: un conto sono i diritti fondamentali, un altro le politiche economiche. La Germania non è la Caritas di nessuno. Molti, ancora, non l'hanno capito. Non hanno capito, ad esempio, che con l’haircut del 2012, equivalente a più di 100 miliardi di euro, i creditori privati sono stati penalizzati da una perdita del 50% rispetto ai capitali investiti. C’è ancora qualcuno che crede di investire, incolume, nei titoli di Stato greci? No, e infatti si è assistito ad un fuggi fuggi generale di capitali. Contiamo altresì che al momento del suo ingresso nell’euro, la Grecia pagava il 25% di interessi sul suo debito fino ad arrivare al 5% del 2008; pensioni e retribuzioni dei greci sono molto più elevate di quelle in vigore in altri Paesi dell’Est che fanno parte del programma di aiuti, fatto che determina seri problemi di equità.
Ne è passato del
tempo, ma non ho ancora capito perché gli Stati dell'Europa orientale, entrati
dopo il 2004 e pur non messi economicamente bene, non abbiano petulato e
ingannato l'Europa con fallaci discorsi e piani vuoti e immaginari, come si è
permesso di fare Tsipras, per lo più spregiudicatamente. Le parole sono
importanti e hanno un peso. Definendo i programmi di aiuto come atti di terrorismo, Tsipras ha
dimostrato di non essere altro che un maleducato pirla. Niente di più, niente
di meno.
Nell’arco di tempo
che va dal 2002 al 2009 – quando ancora Tsipras non si sapeva chi fosse – la
Grecia finanzia 170 miliardi di uscite permanenti, acuendo l’iperbole del
debito dagli iniziali 152 miliardi agli attuali 350. A questo punto, non
sussiste ente bancario che si faccia passare per la testa la malsana idea di
prestare alla Grecia manco più un centesimo, senza avere la garanzia degli
Stati partner dell’Euro. Ma Tsipras pretende soldi. Altri soldi. Premesso ciò,
sono dunque giuste le accuse di terrorismo rivolte all’Europa? O, forse,
Tsipras è affetto dal morbo della “pappa pronta”, come un bambino viziato che
stride fintanto che i genitori non sborsano i soldi per comprargli quel
costosissimo giocattolo esposto in vetrina. In Grecia, con Tsipras, che cosa
cambia rispetto a prima? Che ora la pacchia è finita, mentre prima si continuava
a vivacchiare con le seducenti distribuzioni divine di pensioni per tutti, andando
in pensione a sessant’anni e senza dover sborsare un soldo: tanto ci pensavano
i paesi ricchi dell'UE. In questo, le banche sono state più pirla dei
ladronecci governi greci precedenti. Ma Tsipras non è da meno: progettando uno
spropositato terzo pacchetto di aiuti di 270 miliardi di euro, da sommarsi ai
350 già ricevuti, si arriverebbe alla stellare somma di 610 miliardi di euro.
Stellare mica tanto, perché non sta né in cielo né in terra. Eppure
l’Eurogruppo, quello che era terrorista fino a due minuti prima, dà il via
libera a metà di agosto.
Ne è passato del
tempo, ma non ho ancora capito perché la Germania, invece, tenda a rispettare
le regole, facendone oracoli da adorare. Sarà per ereditario puritanesimo o forse
per intrinseco calvinismo. Fatto sta che meno nazista di questo atteggiamento
non ce n'è, eppure è stata vergognosamente tacciata di nazismo. Ma il nazismo
nacque proprio dalle continue modifiche e violazioni apportate alle leggi
costituzionali della Repubblica di Weimar. Le regole, insomma, sono sacre. È
vero che pietà e buonismo non sono parole iscritte nel vocabolario del ministro
Shäuble, che ha parlato di permissivismo come causa di dissolutezza; ma è anche
vero che la Merkel, da parte sua, non fa che difendere una grande Germania
costruita col sudore, dal Secondo Dopoguerra a questa parte, degna erede di
Adenauer ma, come lui, poco “simpatica”, perché non le manda a dire.
Non sottovalutiamo un
altro aspetto, quello ideologico. Syriza, come anche lo spagnolo Podemos, si
basa su principi alieni all'UE, come quello di democrazia radicale, introdotto
dal filosofo argentino Laclau e dalla politologa belga Mouffe. Con il rischio
che si diffonda un becero populismo post-marxista, lo stesso di Pasok e Nea Demokratia:
in questo, con Syriza, non vedo differenze, così come nella comune volontà di
spillare soldi agli altri.
Infine: come non
dimenticare il pericoloso nazionalismo che Syriza stimola, facendo leva sulle
riparazioni di guerra dovute al nazismo? La storia non insegna nulla. Ma forse,
qualcosa sì, e la Seconda Guerra Mondiale è stata partorita proprio a causa del
radicato risentimento contro i Trattati di Versailles, rancore ingrossato ad
opera d’arte dal nazionalismo virulento. Il vero problema è il nazionalismo e,
quando si è con l’acqua alla gola, fa sempre comodo tirarlo fuori: è la carta
vincente per ogni guerra degna di questo nome.
Intanto, l'Italia
aspetta invano i suoi 54 miliardi cretinamente prestati a un governo di
furbacchioni che interpellano il popolo ogni due per tre, perché incapaci di
prendere loro stessi valide decisioni. Comunisti senza piani di azione, non se
n'erano mai visti. No, anzi, si sono visti in tutta l'Europa Orientale del
Secondo Dopoguerra fino alla caduta del muro di Berlino. Ma sono tutti finiti
male. Molto male.
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