di FRANCESCO GALLINA
a guardare alla realtà come alla cugina povera dei nostri sogni.
Platone era lo Steve Jobs greco. O Steve Jobs era il Platone americano. Insomma, invertendo i fattori, il risultato non cambia. Stiamo parlando di reminiscenze platoniche nella contemporaneità, dove è tutto un brulicare di inviti a sognare e ad essere folli. Non che vi sia una, dico una persona che inviti a godere della realtà, quella che è sotto gli occhi di tutti, senza tanto animismo. Viviamo immersi in un costante gracidio di sottofondo che vorrebbe che sognare ad occhi aperti sarebbe quanto di più bello vi sia, quando invece è solo azione foriera di angosce. Sognare ad occhi aperti consiste nel proiettare entusiasticamente (entusiasmo significa essere in Dio) il proprio desiderio (desiderio deriva da de-sidera, ambire alle stelle, quindi a qualcosa di impossibile) nel futuro, e lo si fa tanto intensamente che, qualora il sogno si infrange, la depressione è alle porte. Anche il suicidio, talvolta. Alcuni, nella storia, sognavano tanto ad occhi aperti, che vivevano sugli alberi come Cosimo Piovasco o sulle cime delle colonne. Si chiamavano eremiti, e non facevano granché nella loro vita se non eliminare quanto di più fruttuoso ci possa essere nella vita di un uomo: il rapporto con l'altro. Gli altri che sognavano ad occhi aperti erano i mistici, che speravano di sciogliersi dalle catene della carne per confluire nella trascendenza divina. Il tempo passa, ma Platone resta. Che si chiamino Dante Alighieri, Santa Teresa, Maestro Eckhart o Matteo Renzi, stiamo parlando solo di duplicazioni platoniche. Il platonismo in soldoni è uno stupido dualismo che divide il brutto mondo delle Cose da uno stupefacente mondo delle Idee. E i sogni son desideri, come canterebbe qualcuno: infatti, per Platone, il desiderio è Amore che conduce al Bene.
Questi sono i sogni fuffa. Ma esistono anche i sogni veri, quelli che si fanno a occhi chiusi, durante la notte, e sono validi alleati della psiche dell'uomo, perché rivelano i "lati oscuri" (risento anch'io degli spot su Star Wars), ma reali, dell'inconscio. Il sogno è elaborazione notturna del pensiero, perché il pensiero non va a letto, ma lavora 24 ore su 24. E il pensiero è reale, come il sogno.
Cosa c'entra con Christopher Nolan? Nell'estate 2015, Nolan, regista che apprezzo moltissimo, tiene un discorso agli studenti di Princeton a proposito di uno dei suoi capolavori da lui scritto, prodotto e diretto: stiamo parlando di Inception. Il film vede protagonista Dom Cobb, estrattore di segreti dalle menti umane mentre queste dormono e sognano. Cobb usa un timer che permette a gruppi di persone di partecipare a sogni condivisi, ingannando dall'interno il loro pensiero, e quindi il sogno, che è frutto del pensiero. Il fine è quello di carpire informazioni segrete che altrimenti non sarebbero mai rese note. Il potente affarista Mr. Saito recluta Cobb perché innesti nella mente di Robert Fischer, giovane erede del rivale d'affari di Saito, l'idea di spartire il suo impero economico alla morte del padre. Estrazione e innesto di idee sono quindi le due possibili operazioni che un uomo può esercitare su un altro uomo. Ma sono estremamente difficili, e rischiose. Il team di Cobb elabora quindi tre affascinanti livelli di sogno, che non sono proiezioni metafisiche, ma empiricamente percettibili. Il film è uno dei più belli - e mi limito a usare questo banale aggettivo - mai visti, e #busilliblog vi invita a godervelo. L'unico punto su cui non concordo è quell'"estremamente difficili": se innestare un'idea fosse così difficile, non vedrei come l'Isis abbia nuovi seguaci in tutto il mondo, e ogni giorno che passa. Ma sorvoliamo.
Su cosa si è concentrato il discorso di Nolan? Sulla grande ambiguità del film: una trottola. Un oggetto fondamentale per la missione di Cobb è il totem, oggetto di uso comune con caratteristiche conosciute al solo possessore, che è utile per fargli capire se si trova nella realtà o nel sogno di qualcun altro. Il totem di Cobb è, appunto, una trottola. Se la trottola vacilla e si ferma, Cobb è nella realtà, se continua a ruotare è nel sogno. L'ultima scena vede Cobb riabbracciare i suoi figli (e non vi dico come e perché): la telecamera si sposta sulla trottola che vortica sul tavolo e... taglio nero.
E non si sa se Cobb è rimasto nel sogno o se quella che vediamo è la realtà.
Nolan svela il dubbio. E tiene un discorso apparentemente semplice, ma di grande spessore filosofico, perché va ad abbattere il dualismo platonico, quella falsa distinzione fra il paradisiaco del sogno e il bigio della realtà. Dice:
"Come da tradizione, durante questi discorsi, generalmente vi si invita a “seguire i vostri sogni”, ma io non lo farò. Io non ci credo. Desidero che voi inseguiate la realtà. Mi sembra che, col tempo, in qualche modo abbiamo iniziato a guardare alla realtà come alla cugina povera dei nostri sogni. Voglio chiarirvi il fatto che i nostri sogni, le nostre realtà virtuali, queste astrazioni che noi amiamo e di cui ci circondiamo, sono sottoclassi della realtà" e ancora: "Le persone si interessano sempre a questo dilemma: cosa sia o non sia la realtà. E io vi dico: la realtà è l'unica cosa che conta."
Che abbracciasse i figli nel sogno o nella realtà, insomma, poco importa: la realtà è una, molte le rappresentazioni (che sono pur sempre reali). Nolan invita a rimanere coi piedi per terra e in terra ci mette anche i sogni, che sono il sintomo reale di una realtà (in quel caso il dolore per l'assenza dei figli). Inception non è più The Truman Show, ma è un film (fantascentifico finché si vuole) che mette al centro l'uomo e le sue idee. Idee terrene, non più iperuraniche. Idee materiche, tanto materiche da poter essere estratte o innestate come si fa con un seme o un chiodo.
E questo significa beffarsi della filosofia platonica.
Nessun commento:
Posta un commento