di FRANCESCO GALLINA
Poeta dai più dimenticato, Carlo Betocchi è stata una delle voci più originali ed indipendenti della poesia della seconda metà del secolo XX. Per la sua consueta rubrica di poesia, #busillisblog vi propone la sua Estate di San Martino (1961): vicino alla poetica pascoliana del fanciullino, resta attaccato a forme metafisiche di interpretazione del reale. Montaliani barbagli di luce e crepuscolari dialoghi silenziosi rimbalzano fra i rossi embrici, superficie su cui un elemento lontano e misterioso - forse un ricordo, forse un'allucinazione - proietta il proprio enigmatico sguardo: un'epifania.
La lirica è accompagnata dal vivace cromatismo dei Tetti di Roma di Renato Guttuso.
DAI TETTI
in L'ESTATE DI SAN MARTINO (1961) di CARLO BETOCCHI
Renato Guttuso, Tetti di Roma, 1942 |
E' un mare fermo, rosso,
un mare cotto, in un'increspatura
di tegole. E' un mare di pensieri.
Arido mare. E mi basta vederlo
tra le persiane appena schiuse: e sento
che mi parla. Da una tegola all'altra,
come da bocca a bocca, l'acre
discorso fulmina il mio cuore.
Il suo muto discorso: quel suo esistere
anonimo. Quel provocarmi verso
la molteplice essenza del dolore:
dell'unico dolore:
immerso nel sopore,
unico anch'esso, del cielo. E vi posa
ora una luce come di colomba,
quieta, che vi si spiuma: ed ora l'ira
sterminata, la vampa che rimbalza
d'embrice in embrice. E sempre la stessa
risposta, da mille bocche d'ombra.
- Siamo - dicono al cielo i tetti -
la tua infima progenie. Copriamo
la custodita messe ai tuoi granai.
O come divino spazio su di noi
il tuo occhio, dal senso inafferrabile.
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