di FRANCESCO GALLINA
C'era una volta il mondo. Nel mondo c'era una città. In questa città
c'era un altoparlante. In questo altoparlante c'era un'anima. In quest'anima
c'era lo spirito dell'epoca. Nello spirito dell'epoca c'era l'allegria. Nell'allegria
c'era la melanconia, che un giorno rovesciò l'allegria. L'allegria rovesciò
lo spirito dell'epoca. Lo spirito dell'epoca rovesciò l'anima. L'anima rovesciò
l'altoparlante. L'altoparlante rovesciò la città. La città rovesciò il mondo.
Bolla d'aria ridotta all'insignificanza più totale, la felicità non è altro che una balzana teoria metafisica non solo inesistente, ma estremamente nociva. La felicità, o allegria che dir si voglia, dopo più di duemila anni di storia e di apparente progresso, ricade ancora su di noi da un iperuranio platonico astratto e invisibile. Ci hanno provato fiori fiore di religiosi, mistici e filosofi, a elaborare una ricetta della felicità ma, come per l'amore, hanno sempre fallito nel loro misero intento. Occorre arrivare a Freud perché si scopra che l'uomo felice è una bazzecola, un ideale soffocante: l'uomo è fatto di piacere, non di felicità, ed è fatto di corpo e pensiero, non di anima. L’anima è aria fritta, infatti significa in origine “aria”. L'uomo è come le lettere concepite da De Saussure: la a, da sola, assume senso se e solo se si accosta alle sue compagne di alfabeto; senza di esse, non sappiamo che farcene. Dunque, il piacere che l’uomo prova deriva esclusivamente dal rapporto con altri uomini o prodotti umani, non certo grazie a formule fatiscenti, tuttora sfruttate dall'intellighenzia mondiale economica e politico-religiosa. Quella della felicità è la fallacia cosmica di più grande successo nella storia dell'umanità, a cui tanti, troppi, si sono aggrappati per tentare disperatamente di sopprimere le proprie insicurezze, le proprie assillanti inquietudini.
Leggendo quella piccola perla filosofico-letteraria che è Introduzione al mondo (Orientexpress) di Idolo Hoxhvogli* (novembre 2015) non vi ho scorto altro che tutti i più deteriori aspetti della filosofia classica e medievale travasati nel mondo contemporaneo, un oscurissimo Nuovo Medioevo. L'opera è un conte philosophique dalle fattezze evangeliche, perché strutturata in parabole, piccole storie, rapidi frammenti direttamente provenienti dalla Città dell'Allegria. L'ironia e la ferocia con cui ci vengono dipinti questi idilli al negativo ricordano da un lato Marcovaldo di Calvino, dall'altro le distopie di Orwell. Il libro si presenta tripartito: La città dell'allegria diagnostica alcune delle più gravi malattie della società contemporanea; Civiltà della conversazione mostra il tragico destino delle parole ai nostri giorni; Fiaba per adulti racconta la pedofilia dal punto di Allegra, una bambina.
La città dell'Allegria è la città utopica per antonomasia che, per dirla con Platone, trascina a forza il mondo delle Idee nel mondo delle Cose, mentre caccia la concretezza dei corpi e delle cose al di là (o aldilà) del mondo. La città dell'Allegria è la letteraturizzazione romanzata dell'umanesimo di Feuerbach, contrario alla cosiddetta antropologia rovesciata: l'uomo ha sacrificato - e continua a sacrificare - sé stesso proiettando le proprie qualità e le proprie sognanti aspirazioni in un Dio a lui esterno e impalpabile. Sacrificandosi della propria essenza, l'uomo, divenuto mistico di primo pelo, esalta quanto non ha a che fare con la carne e con la materia, inneggiando all'ascesi e alla fuga dal mondo: in altre parole, un uomo alienato. Ci vorrà Freud per dire che fuggire dal mondo significa piombare nella nevrosi. E, infatti, tutti gli abitanti di Allegria, eccetto gli stranieri, sono depressi, inquieti e angosciati. Lo sono anche coloro che vorrebbero uscire dal sistema, ma il sistema è pervasivo, e non glielo permette.
L'Allegria, dunque, è un sistema: il Sistema. Idolo Hoxhvogli è abile nell'immaginare quella che la pseudoscienza continua a definirci, blaterando, "formula della Felicità". La città è percorsa dalla voce reiterata proveniente da innumerevoli altoparlanti, che emettono un monotono imperativo categorico: "Allegria!". Se la ripetizione è morte, Allegria non è morta, cioè, diversamente da quanto sosteneva Nietzsche, Dio è più che mai vivo e vegeto, solo che la gente non lo sa, perché lo chiama in modi diversi, per convincersi di essere atea.
È sufficiente conoscere la filosofia aristotelica ed emanazionista per capire che cosa sia quell'altoparlante agente che attiva gli altoparlanti passivi, trasmettendo loro una "sostanza animica". Come non vedervi il Primo Mobile di Aristotele o, meglio ancora, la distinzione fra Intelletto Agente ed Intelletti Possibili così come sono teorizzati da Averroè? Degli 'allegri' altoparlanti il narratore traccia una mappatura con la precisione di un fisico: "struttura", "formulario per la comprensione del mondo" e un'"architettura della civiltà". Civiltà anch'essa intesa come Cultura con la C maiuscola, che stritola l'umanità sotto il torchio delle sue infide ideologie, trasformandosi in religione a tutti gli effetti: è quello che sostiene Freud in Totem e tabù, ma soprattutto nel Disagio della civiltà, in cui ci dice che lo sviluppo della civiltà si paga con la frustrazione e la nevrosi. L'allegria che gli abitanti provano non è un umano senso di piacere, ma una beatitudine che li rende beati e beoti allo stesso tempo, un po' come le anime nel Paradiso di Dante, afasiche, apatiche e ridotte a pura luce, dotate di parola, ma di una parola emanata da Dio, quindi non propria, non personale.
La spersonalizzazione coinvolge anche le parole, in origine magnifico frutto dell'uomo, ora scaduto a roscelliniano flatus vocis. Nell'assuefazione da astrazione, la parola si svuota del suo significato per assumere la forma di un significante o, peggio ancora, di una venerabile icona. Tutto è così vuoto da rendersi leggero come una piuma, volatile. Gli uomini non riescono a stare con i piedi per terra e allora inventano nuove parole e nuove teologie, come quella televisiva che vomita ammassi di letame (di odore pasoliniano), quella che impone feste a orologeria, o ancora quella che, da sempre, #busillisblog combatte a spada tratta: il politically correct, il Satana del XXI secolo.
Ho conosciuto questo scrittore proprio nella ricerca di persone avverse alla logica piatta, benpensante, falsamente trasgressiva e, in fondo, solamente confusa o ignorante. Introduzione al mondo è un libro che nasce per essere riletto, per trivellare le parole, talmente consistenti da bucare la pagina con la loro matericità barocca. E qui sta il solo difetto, che chiamerei "la sindrome di chi legge Gadda per la prima volta dicendo che è brutto solo perché non ci capisce". Inutile nasconderlo: nella sua adorabile impurità (sarà un caso che la prefazione è a firma di Sonia Caporossi?), il romanzo di Idolo Hoxhvogli non potrà essere compreso da tutti, almeno da chi è solito leggere una sola volta con la pretesa di avere tutto chiaro e da chi mastica un vocabolario infantile (le stime sull'Italia, a riguardo, non sono confortanti). Sconsigliato al lettore scazzato e a quello che "la filosofia è pesa", è consigliato al comparatista che vuole entrare in contatto con la produzione italiana di uno scrittore albanese (dominante il tema dell'integrazione), al filosofo che vuole respirare una boccata d'aria lontano dai mattoni accademici o, più semplicemente, a chi vuole assaporare un libro parodico e graffiante, scritto da un giovane e ottimo pensatore. E a #busillisblog piace chi pensa con la propria testa.
*IDOLO HOXHVOGLI è nato a Tirana nel 1984. È laureato in Filosofia alla Cattolica di Milano. Suoi scritti sono presenti in numerose riviste italiane e straniere, tra cui «Gradiva International Journal of Italian Poetry» (State University of New York at Stony Brook) e «Cuadernos de Filología Italiana» (Universidad Complutense de Madrid). Ha collaborato con 24 Letture del "Sole 24 Ore", Quasi Rete della "Gazzetta dello Sport" e Il Fatto Quotidiano Online (www.il fattoquotidiano.it/blog/ihoxhvogli/).
La bellissima illustrazione in copertina è Il cittadino Leo di LORIS DOGANA.
Leggendo quella piccola perla filosofico-letteraria che è Introduzione al mondo (Orientexpress) di Idolo Hoxhvogli* (novembre 2015) non vi ho scorto altro che tutti i più deteriori aspetti della filosofia classica e medievale travasati nel mondo contemporaneo, un oscurissimo Nuovo Medioevo. L'opera è un conte philosophique dalle fattezze evangeliche, perché strutturata in parabole, piccole storie, rapidi frammenti direttamente provenienti dalla Città dell'Allegria. L'ironia e la ferocia con cui ci vengono dipinti questi idilli al negativo ricordano da un lato Marcovaldo di Calvino, dall'altro le distopie di Orwell. Il libro si presenta tripartito: La città dell'allegria diagnostica alcune delle più gravi malattie della società contemporanea; Civiltà della conversazione mostra il tragico destino delle parole ai nostri giorni; Fiaba per adulti racconta la pedofilia dal punto di Allegra, una bambina.
La città dell'Allegria è la città utopica per antonomasia che, per dirla con Platone, trascina a forza il mondo delle Idee nel mondo delle Cose, mentre caccia la concretezza dei corpi e delle cose al di là (o aldilà) del mondo. La città dell'Allegria è la letteraturizzazione romanzata dell'umanesimo di Feuerbach, contrario alla cosiddetta antropologia rovesciata: l'uomo ha sacrificato - e continua a sacrificare - sé stesso proiettando le proprie qualità e le proprie sognanti aspirazioni in un Dio a lui esterno e impalpabile. Sacrificandosi della propria essenza, l'uomo, divenuto mistico di primo pelo, esalta quanto non ha a che fare con la carne e con la materia, inneggiando all'ascesi e alla fuga dal mondo: in altre parole, un uomo alienato. Ci vorrà Freud per dire che fuggire dal mondo significa piombare nella nevrosi. E, infatti, tutti gli abitanti di Allegria, eccetto gli stranieri, sono depressi, inquieti e angosciati. Lo sono anche coloro che vorrebbero uscire dal sistema, ma il sistema è pervasivo, e non glielo permette.
L'Allegria, dunque, è un sistema: il Sistema. Idolo Hoxhvogli è abile nell'immaginare quella che la pseudoscienza continua a definirci, blaterando, "formula della Felicità". La città è percorsa dalla voce reiterata proveniente da innumerevoli altoparlanti, che emettono un monotono imperativo categorico: "Allegria!". Se la ripetizione è morte, Allegria non è morta, cioè, diversamente da quanto sosteneva Nietzsche, Dio è più che mai vivo e vegeto, solo che la gente non lo sa, perché lo chiama in modi diversi, per convincersi di essere atea.
È sufficiente conoscere la filosofia aristotelica ed emanazionista per capire che cosa sia quell'altoparlante agente che attiva gli altoparlanti passivi, trasmettendo loro una "sostanza animica". Come non vedervi il Primo Mobile di Aristotele o, meglio ancora, la distinzione fra Intelletto Agente ed Intelletti Possibili così come sono teorizzati da Averroè? Degli 'allegri' altoparlanti il narratore traccia una mappatura con la precisione di un fisico: "struttura", "formulario per la comprensione del mondo" e un'"architettura della civiltà". Civiltà anch'essa intesa come Cultura con la C maiuscola, che stritola l'umanità sotto il torchio delle sue infide ideologie, trasformandosi in religione a tutti gli effetti: è quello che sostiene Freud in Totem e tabù, ma soprattutto nel Disagio della civiltà, in cui ci dice che lo sviluppo della civiltà si paga con la frustrazione e la nevrosi. L'allegria che gli abitanti provano non è un umano senso di piacere, ma una beatitudine che li rende beati e beoti allo stesso tempo, un po' come le anime nel Paradiso di Dante, afasiche, apatiche e ridotte a pura luce, dotate di parola, ma di una parola emanata da Dio, quindi non propria, non personale.
La spersonalizzazione coinvolge anche le parole, in origine magnifico frutto dell'uomo, ora scaduto a roscelliniano flatus vocis. Nell'assuefazione da astrazione, la parola si svuota del suo significato per assumere la forma di un significante o, peggio ancora, di una venerabile icona. Tutto è così vuoto da rendersi leggero come una piuma, volatile. Gli uomini non riescono a stare con i piedi per terra e allora inventano nuove parole e nuove teologie, come quella televisiva che vomita ammassi di letame (di odore pasoliniano), quella che impone feste a orologeria, o ancora quella che, da sempre, #busillisblog combatte a spada tratta: il politically correct, il Satana del XXI secolo.
Ho conosciuto questo scrittore proprio nella ricerca di persone avverse alla logica piatta, benpensante, falsamente trasgressiva e, in fondo, solamente confusa o ignorante. Introduzione al mondo è un libro che nasce per essere riletto, per trivellare le parole, talmente consistenti da bucare la pagina con la loro matericità barocca. E qui sta il solo difetto, che chiamerei "la sindrome di chi legge Gadda per la prima volta dicendo che è brutto solo perché non ci capisce". Inutile nasconderlo: nella sua adorabile impurità (sarà un caso che la prefazione è a firma di Sonia Caporossi?), il romanzo di Idolo Hoxhvogli non potrà essere compreso da tutti, almeno da chi è solito leggere una sola volta con la pretesa di avere tutto chiaro e da chi mastica un vocabolario infantile (le stime sull'Italia, a riguardo, non sono confortanti). Sconsigliato al lettore scazzato e a quello che "la filosofia è pesa", è consigliato al comparatista che vuole entrare in contatto con la produzione italiana di uno scrittore albanese (dominante il tema dell'integrazione), al filosofo che vuole respirare una boccata d'aria lontano dai mattoni accademici o, più semplicemente, a chi vuole assaporare un libro parodico e graffiante, scritto da un giovane e ottimo pensatore. E a #busillisblog piace chi pensa con la propria testa.
*IDOLO HOXHVOGLI è nato a Tirana nel 1984. È laureato in Filosofia alla Cattolica di Milano. Suoi scritti sono presenti in numerose riviste italiane e straniere, tra cui «Gradiva International Journal of Italian Poetry» (State University of New York at Stony Brook) e «Cuadernos de Filología Italiana» (Universidad Complutense de Madrid). Ha collaborato con 24 Letture del "Sole 24 Ore", Quasi Rete della "Gazzetta dello Sport" e Il Fatto Quotidiano Online (www.il fattoquotidiano.it/blog/ihoxhvogli/).
La bellissima illustrazione in copertina è Il cittadino Leo di LORIS DOGANA.
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