di FRANCESCO GALLINA
Una bella provocazione: Alessandro Monticelli e Claudio Pagone, Venere dell'immondizia, 2008 |
È l'alba. Una donna delle pulizie lavora in un museo d'arte contemporanea, poche ore prima che apra i battenti. Per terra ci sono dei cartoni con imballaggi. La signora in vestaglia li prende e li getta nel cestino. Sono comune spazzatura, pensa.
Ma non sa che si tratta di stimate opere d'arte.
Il fatto successe esattamente il 19 febbraio 2014 nella sala Murat di Bari, che ospitava la rassegna di arte contemporanea Display Mediating Landscape.
L'altro ieri, invece, l'installazione in ferro del giapponese Kaori Kawakami (?) viene trafugata e venduta come ferro vecchio: almeno, questo è quello che ipotizzano le Forze dell'Ordine.
Ora, si pongono due problemi. Uno è relativo alla custodia dei beni culturali. Il direttore del CAM Antonio Manfredi dice: «La scultura era stata prestata alla villa comunale di Casoria e il Comune avrebbe dovuto vigilare. Invece è stata trafugata.»
Ci fossero stati i Bronzi di Riace cosa sarebbe successo? Ma, per fortuna (o sfortuna), non sono i Bronzi di Riace. "Per fortuna", non c'è bisogno di spiegarlo. "Per sfortuna", perché sarebbe bello che qualcuno, nell'arte strettamente contemporanea, producesse qualcosa di anche vagamente simile alla qualità dei Bronzi di Riace. Ci sono, per carità, ma si contano sulle dita di una mano.
L'altro problema riguarda la funzione dello spettatore che, per quanto possa sembrare assurdo, ha sempre ragione. Io, ad esempio, ammiro le innovazioni linguistiche dei futuristi, ma qualcun altro, sensibile alla letteratura come lo sono io, di fronte a Zang Timb Tumb di Marinetti potrebbe rispondere come fece Fantozzi davanti alla corazzata Potemkin. Cosa dovremmo dedurre? Che la donna delle pulizie o il ladro gru-dotato (l'installazione pesava 2 tonnellate) sono infime fecce della società affette da cronica barbarie? E se quel ferro sembrasse davvero un ferro vecchio? E se quegli imballaggi sembrassero davvero inutili cartoni?
Ogni artista crede fermamente in quello che crea, non ne dubitiamo. Ma l'arte contemporanea è anche provocazione, quando provoca sul serio, non a parole. Duchamp e Dalì ci insegnano che l'arte contemporanea è decontestualizzazione, stravolgere il senso comune delle cose, reinterpretare. Chi è allora più artista? Chi crede di fare di un cartone un'opera d'arte o chi decontestualizza il cartone detto da più artistico, etichettandolo per quello che, è ma che la obnubilata critica non permetterebbe mai di definire? Il cartone in sé non mi avrebbe mai suscitato alcuna riflessione. La donna delle pulizie ha saputo farmelo apprezzare, anche se quel cartone, magari, avrebbe potuto essere l'emblema della guerra del mondo o il correlativo oggettivo della paralisi in Joyce. Ma resta un cartone a forma di scatola, quindi una scatola di cartone, o poco più. La povera donna delle pulizie - chissà quante ne ha passate! - ha saputo, involontariamente, creare un significato attorno a - parliamoci chiaro - un vuoto significante: e questa sì che è raffinata provocazione intellettuale!
E il ladro, magari, saprà rendere una ferraglia, concepita come opera d'abbellimento urbano (?), in qualcosa di più interessante e appetibile.
Magari un super piede di porco per rubare le opere d'arte.
Quelle vere.
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