di FRANCESCO GALLINA
Mandolino Vinaccia 1901 |
Oggi, a un mese esatto dall'apertura del blog, sono lieto di condividere con voi l'intervista che ho fatto al soprano Maria Caruso, co-fondatrice dei Silentia Lunae, un eclettico ensemble di musica antica. Con grande piacere per le mie orecchie avvezze al classico, sono andato ad ascoltare Bacco e Arianna, uno dei magnifici appuntamenti di Summer Kermesse, che i Silentia Lunae propongono a Parma per la seconda estate consecutiva. Per il mese più torrido dell'anno, una rassegna musicale freschissima che ha anche il nobile scopo "collaterale" di far rivivere angoli di Parma poco conosciuti o deturpati dal vandalico bivacco, come il Tempietto d'Arcadia nel Parco Ducale, dove fra l'altro si esibirà domenica 9 agosto alle ore 19.30. Per ulteriori informazioni consiglio di visitare il sito http://violadagamba9.wix.com/summerkermesse2.
Al termine del secondo concerto tenutosi alla Pinacoteca Stuard domenica 2 agosto 2015, Maria mi concede gentilmente il suo tempo. Dietro di noi, ci tiene d'occhio un'accigliata e bellissima Giuditta dipinta da Lavinia Fontana. Attorno a noi una tiorba, un violino, una viola da gamba e uno splendido mandolino Vinaccia 1901.
Benvenuta su BusillisBlog, Maria! Partiamo dal nome. I silenzi della luna: perché?
E’ una domanda di tipo
esistenziale, quella sul nome: il nome infonde le sue qualità alle cose, o sono
le cose, con le loro qualità, a far scaturire una parola/suono che le indichi
per quel che sono? Il nostro nome è nato per caso, come molto spesso accade: un
musicista che all’epoca della prima formazione suonava con noi leggeva in quel
periodo “Per amica Silentia Lunae”, di W.B. Yeats, un poeta visionario che
anche a me piace molto. Allo stesso tempo, è una citazione virgiliana
dall’Eneide: la calata dei Danai. Forse è strano che il nome di un gruppo
musicale possa nascere da due cose così eteree e senza apparente sostanza come
l’idea del silenzio e l’idealizzazione della Luna, mondo dell’incorporeo
spirito sottile e del femminile. Eppure, il nome ci ha portato bene, e coglie
una visione che alla fine ci ha aiutati a crescere artisticamente: prima del suono, deve esistere un silenzio,
e cioè devono esserci idee, riflessione, studio e un tempo di incubazione
necessari alla produzione del suono. Il suono, semmai, nasce come parte finale
di un lavoro sommerso. Il mondo della Luna ci rimanda a tutto l’immaginario dell’Ariosto
con Astolfo e la sua follia, e il rinsavire.
Chi siete e qual è la vostra formazione artistico-musicale?
Vorremmo essere un polo di
attrazione e uno spazio di ricerca per la musica antica, e cerchiamo di
catalizzare talento e forze per realizzare progetti unici. Siamo persone in
continua evoluzione. Dalla prima formazione di quartetto siamo cresciuti
moltissimo, grazie alle fitte collaborazioni artistiche. Ad un certo punto del
nostro cammino, circa due o tre anni fa, abbiamo compreso che Silentia Lunae,
come associazione e come ensemble, può essere molto flessibile, e far
affidamento sulla partecipazione rodata di un buon numero di musicisti che non
vivono necessariamente a Parma, ma provengono da altre città o fanno parte di
altri ensemble. Siamo quindi diventati una base da cui partono progetti
musicali molto vari: dal momento che ogni epoca e repertorio richiedono una
particolare cura dell’organico strumentale, questo ci rende capaci di spaziare
parecchio. La musica antica è un campo vasto, i materiali musicali coprono le
epoche dal Medioevo fino alla tradizionale data della morte di Bach, 1750. Noi
espandiamo il concetto di musica storicamente informata anche al classicismo e
primo romanticismo, fino a Paganini, per intenderci, e nella nostra ricerca
includiamo le raccolte “folk” del 700 e 800 di area anglofona. Ovviamente, un
musicista che suona la viella, o il salterio a muso di bue per la musica
medievale, non suonerà il cembalo per il barocco francese, per intenderci.
Quindi, curando personalmente la ricerca e gli organici attingo al nostro
bacino di collaborazioni e coordino questo aspetto, di volta in volta facendo
ricorso a professionalità e talenti diversi. Siamo flessibili in funzione della
nostra ricerca, ma non siamo “camaleonti” per quanto riguarda discorsi
commerciali o di convenienza. Siamo fuori dai circuiti.
Quanto è importante per voi il rispetto filologico del testo musicale? Quale
ruolo rivestono le fonti?
Le fonti sono semplici tracce,
canovacci che si può anche ignorare, conoscere parzialmente, o addirittura non
conoscere? Oppure il testo è la materia stessa del nostro fare musica? A detta
di molti oggi, ci si può allontanare dal testo per conquistare un pubblico,
ricorrendo a manovre molto commerciali. Bisogna dire che stiamo vivendo una
fase successiva a quello che negli anni ’80 fu la grande esplosione della
musica antica: fu un periodo di grande diffusione, popolarità, che portò alla
ribalta quelli che oggi sono i grandi gruppi storici. Ma, dopo questo periodo,
come forse si poteva immaginare, la musica antica per chi è giovane ha iniziato
ad essere un’idolatria della discografia e ha smesso di essere uno studio delle
fonti. Non nascondo che provo molto fastidio quando sento, anche tra
professionisti affermati, discussioni sulle esecuzioni musicali e le incisioni
col solo scopo di indicare quale sia l’incisione migliore,
di riferimento: il
riferimento sono le fonti. Poi ci sono incisioni bellissime e utili da
ascoltare. Il risultato di questi anni recenti è il proliferare di un sottobosco
di imitatori, seguaci di grandi nomi, e ibridi mostruosi: le contaminazioni
fatte per il solo scopo di riempire i teatri, di vendere. Onestamente, ci siamo
passati anche noi, e anzi, paradossalmente, proveniamo da quel sottobosco in
cui agli inizi siamo rimasti per un po’, e molto in buona fede, con
l’entusiasmo di chi inizia e scopre una bella cosa. Fortunatamente, qualcosa è
successo e per me è stato un richiamo alla necessità di prendere una decisione:
bisogna avere il coraggio di seguire la propria strada quando è difficile. Sono
tornata a scuola, ho ripreso a studiare, non senza enormi sacrifici, alla mia
età. Bisogna anche proporre i repertori
diversi con onestà intellettuale: l’antico è l’antico, il folk è il folk, e se
si incrociano in molti punti, c’è da dire che entrambi i repertori vanno
rispettati e compresi per ciò che sono. Non penso che non si possano fare molte
cose diverse allo stesso tempo, anzi. Ma nel fare ognuna di queste cose, cerco
di trovarne la sorgente, di proporne l’essenza, di creare il discorso costruito
su una ricerca proprio perché sono passata attraverso questa grande
trasformazione, da “seguace” di influenze e correnti, a pensatrice
indipendente, e ne sono molto contenta.
Il vostro repertorio è vastissimo, ma proponete preferibilmente musica
antica, medievale, folk e barocca-rococò. Quali i compositori che più amate? Quali
correnti e forme poetico-compositive prediligete?
Vorrei chiarire un aspetto
importante: un repertorio non è mai interamente di chi lo suona. La bellezza
del mondo che proponiamo è che il repertorio è vastissimo, e basta guardarsi
intorno, scegliere. Tante cose affascinano per motivi diversi, tante scelte
musicali sono valide, e tutte sono legittime. Per me è molto importante
l’approccio alla musica e che alla base ci siano curiosità, passione, sapiente
studio e tanta umiltà. E’ necessaria anche flessibilità tecnica, sugli
strumenti diversi e anche con la voce come mezzo espressivo. Per me, ogni
compositore è un mondo da scoprire, e se lo propongo al pubblico è perché lo
amo profondamente, e quasi in maniera ossessiva: ne conosco la vita, la storia,
e le note. Sono molto affascinata dalle figure di Christopher Simpson e Tobias
Hume, autori inglesi tra Cinquecento e Seicento per la viola da gamba con
personalità interessanti. Simpson, lo si intuisce anche da ciò che scrive, dai
suoi ritratti, era introspettivo, colto, estremamente raffinato e un virtuoso
eccezionale. Hume era uno straordinario musicista molto avanti per i suoi
tempi, e la sua musica è generosa e sanguigna a tratti, e allo stesso tempo rarefatta
e ultraterrena. Sento molto vicina alla mia indole segreta la musica
Speculativa, e cioè tutta quella musica contrappuntistica che è prima di tutto
un esercizio per la mente, ma raramente riesco a proporla: è la grande
incompresa del nostro tempo, si pensa che sia difficile da ascoltare, e invece
ha una carica enorme di emozione in sé. Amo particolarmente il repertorio
inglese e francese: la mia formazione negli Stati Uniti mi ha portato a
sviluppare il bilinguismo e il polistrumentismo e cantare il repertorio inglese
rinascimentale e barocco è un piacere naturale per me, da Dowland, Campian, Ravenscroft a Purcell. Invece la musica francese mi ha sempre catturata molto per la freschezza fusa all’eleganza e le raccolte di Air de Cour di Gabriel Bataille sono un esercizio quotidiano per sviluppare l’eleganza nel fraseggio, e comprendere il meccanismo dell’ornamentazione funzionale alla musica e non fronzolo esteriore. Amo leggere dalle stampe dell’epoca quando sono belle come quelle di Bataille, e le preferisco molto alle trascrizioni moderne: uso il più possibile copie di spartiti dell’epoca, li trovo comunque più utili per molti aspetti e, non ultimo, comprendere il carattere di un’epoca e di uno stile anche dalla stampa stessa della musica.
rinascimentale e barocco è un piacere naturale per me, da Dowland, Campian, Ravenscroft a Purcell. Invece la musica francese mi ha sempre catturata molto per la freschezza fusa all’eleganza e le raccolte di Air de Cour di Gabriel Bataille sono un esercizio quotidiano per sviluppare l’eleganza nel fraseggio, e comprendere il meccanismo dell’ornamentazione funzionale alla musica e non fronzolo esteriore. Amo leggere dalle stampe dell’epoca quando sono belle come quelle di Bataille, e le preferisco molto alle trascrizioni moderne: uso il più possibile copie di spartiti dell’epoca, li trovo comunque più utili per molti aspetti e, non ultimo, comprendere il carattere di un’epoca e di uno stile anche dalla stampa stessa della musica.
Ultimamente, sono molto grata al
mio maestro di viola da gamba, Roberto Gini, per avermi incoraggiata ad
affrontare un repertorio importante con Jean Baptiste Forqueray, che incute
timore: mi sento in ottime mani, e mi fido di lui.
Tra le forme poetiche e
compositive, metto al primo posto l’umile villanella: testi amorosi semplici e
immortali, forma essenziale asciutta, poche cose, ma tutta musica
eccezionalmente viva. I miei preferiti sono Kapsberger e Falconieri, anche per
le vicende delle loro vite.
Amate esibirvi in luoghi non sempre canonici, come musei, pinacoteche e
gallerie d’arte, proponendo interessanti percorsi trasversali fra musica e
immagine. Qual è il vostro rapporto con l’arte figurativa? Quali legami
tematici o di senso intendete istaurare?
Sono una persona molto legata
all’aspetto visivo della vita, dipingo e fotografo molto. Mio padre è un
appassionato di archeologia e spesso ci portava a vedere scavi, musei,
pinacoteche, e ricordo con immensa nostalgia tutte le chiacchierate con lui,
ormai più rare, nei bellissimi musei e scavi della Campania. Richard, liutista,
con cui
festeggiamo quest’anno 25 anni di matrimonio e musica, costruisce
strumenti, è liutaio e le sue creazioni si basano su iconografia. Il legame con
l’arte figurativa è quindi molto forte e concreto. A volte i progetti e le idee
per un concerto nascono dall’arte, dai luoghi stessi in cui proponiamo un
programma. Sono progetti studiati per valorizzare beni artistici, ma non solo,
perché cerchiamo di costruire un rapporto con quelle istituzioni sul territorio
con cui possiamo realizzare un discorso che includa i luoghi e l’arte insieme
alla musica. Ma il discorso va molto oltre: musica e immagine sono un
linguaggio potente, colpiscono l’immaginazione. La stoffa di cui è fatto
l’abito della musica antica è l’immaginario, il Mito, lo slancio verso un
ultraterreno misterioso, l’anima, e la musica e l’arte figurativa si evocano a
vicenda con richiami spesso non solo fortissimi, indivisibili l’uno dall’altro.
Sento questa cosa con molta
forza, anche perché amo dipingere, e così come nella musica uso le mani e il
corpo, anche nella pittura ho in mente un forte senso di corporeità. Gli
artisti che mi ispirano però appartengono ad epoche diverse tra loro: Bernini,
Dosso Dossi, Tiziano, Dalì, Hopper, Edward Burne Jones, ma in realtà sono
tantissimi. Non ultimo, un caro amico scomparso di recente e sconosciuto ai
più, Giona Ciavola – interessantissimo e arguto.
Nel suo splendido libro Passeggiate
nei prati dell’eternità (Mursia, 2013), Valeria Paniccia esalta i cimiteri
monumentali come luoghi pregni di storia e splendore artistico-architettonico.
Tu, a proposito, curi visite tematiche nel Cimitero della Villetta di Parma.
Quanto è importante la rivalutazione di questi luoghi? Quali interessanti
personaggi si annidano nel nostro cimitero?
Ho conosciuto Valeria Paniccia al
Cimitero della Villetta, e ripensandoci, è un vero onore dal momento che lei
nei cimiteri monumentali un po’ in tutto il mondo ha passeggiato con José
Saramago, Gae Aulenti e tanti incredibili personaggi. Il suo libro è molto
bello, me lo regalò alla fine di una giornata che rimarrà nei ricordi belli di
un incontro con una persona squisita. A Parma, da anni, curo la parte musicale
di varie visite tematiche al Cimitero della Villetta, e in particolare il
percorso che presenta i musicisti famosi lì sepolti, da Paganini, a Bottesini,
Campanini, Silvani, Pizzetti, Dacci, Migliavacca. Invece di parlarti di quanto
sia importante questo lavoro culturale, vorrei parlarti delle anime che ci ho
incontrato, poiché sono molto sensibile e mi impressiono facilmente e spesso mi
è sembrato di catturare storie di vite, scorgere volti, sorrisi, e nei sogni di
rivedere anime buone. Ma questo è perché il nome della poesia di Yeats ha il
suo effetto su di me. Inizialmente quando mi chiesero di fare questa cosa anni
fa ebbi un attimo di sgomento di fronte all’ipotesi di suonare al cimitero. I
momenti curiosamente divertenti non sono mancati, come quella volta che durante
le prove di un concerto serale rimanemmo chiusi dentro per un po’. Il silenzio
dei cimiteri infonde uno strano senso di pace mista a terrore, e la parola che
mi
sorge spontanea a riguardo è entrarvi con rispetto. La musica, unita alla
grandissima ricchezza dell’arte scultorea, dei mosaici, e in generale della
storia di Parma, fanno di questi percorsi un’esperienza unica. Il pubblico ha
sempre partecipato generosamente, e con un’attenzione che raramente oggi si
trova perfino in sala da concerto. Considera che il percorso musicale ha momenti
molto toccanti, quando ad esempio dalle melodie sublimi di Paganini, si arriva
al Paganini dei Poveri, il violinista cieco Augusto Migliavacca, cui la città
pose il monumento funebre con una colletta sulla Gazzetta di Parma, e in un
inverno gelido in cui il violino gli si spaccò dal freddo, sempre con la
colletta, glielo ricomprò.
La vostra musica, almeno nel Bel Paese, è decisamente borderline
rispetto al monotono circuito commerciale, ma proprio per questo risulta
molto stimolante. Qual è, in generale, la ricezione che questo repertorio ha in
Italia? E all’estero?
E’ un paradosso, se si considera
che tantissimi giovani arrivano in Italia per studiare il patrimonio artistico
e musicale nostro. Ultimamente, ci sono difficoltà enormi e nessuno può negarlo
o nasconderlo, ma non si tratta solo di difficoltà economiche, o meglio, penso
che la difficoltà maggiore sia un’altra: la demolizione sistematica della
cultura, della scuola, dell’educazione al pensiero critico indipendente, per
cui non si riconosce più in sé un legame profondo col patrimonio di musica,
arte, architettura e paesaggio. Si cerca l’intrattenimento facile, quello che
ha da lungo tempo varcato i suoi naturali confini, per divenire unica fonte di
nutrimento per molti. Non voglio salvare l’estero a scapito dell’Italia, e
vedervi a tutti i costi qualcosa migliore di ciò che noi siamo ed abbiamo,
anche perché, avendo vissuto dieci anni della mia vita all’estero, ormai sono
convinta che l’estero, in realtà, non esista. L’estero è quel paese dove non
siamo in noi.
Il luogo più bello dove vi siete esibiti?
Personalmente ho un misto di bei
ricordi sia per i miei concerti solistici che con Silentia Lunae, per un po’ ho
cantato anche in produzioni liriche (con Zeffirelli e Domingo) nei maggiori teatri
italiani di tradizione. I posti belli sono tanti: splendide sale vittoriane,
come la Victorian Mansion di Portland, e la State House del Governatore del
Maine, e chiese monumentali del New
England; Spoleto e il principesco Schloss
Eggenberg di Graz, e Il Teatro Farnese, la Galleria Nazionale, la Camera di San
Paolo, il Palazzo di Riserva, la Pinacoteca Stuard di Parma, il bellissimo
Magnani di Fidenza, il Cortile d’Onore della Casa della Musica di Parma, e il
Chiostro del Conservatorio di Venezia, la Chiesa di Santa Barbara a Mantova, il
Complesso Monastico Polironiano, tante Pievi del territorio parmense, il
Castello di Spezzano a Fiorano Modenese, Brera, il Teatro Fraschini di Pavia, e
non ultimo, il Tempietto del Parco Ducale di Parma.
Il posto più bello in assoluto
dove abbiamo fatto musica però è come volontari e coordinatori di un programma
di musicoterapia e ricreazione per cinque anni nel Maine, nelle case di riposo
e gli ospedali, e poi in Italia con i ragazzi autistici, e con i bambini della
scuola Elementare Don Milani a Parma. Lì ho i ricordi più umani, e lì mi
ricordo i volti delle persone nel pubblico. Non è retorica, chi mi conosce sa
che ho svolto quel lavoro con impegno e spesso chiedendomi, dove mi sembrava di
non riuscire a trasmettere nulla, che senso avesse. Da tutti loro ho ricevuto
qualcosa che ha arricchito la mia musica e spero di avergli dato qualcosa di
bello e utile.
Siete in contatto con altri ensemble italiani sulla vostra lunghezza
d’onda in quanto a repertorio e forme espressive? Lavorate anche a fianco di
danzatori…
Siamo sempre tutti un po’ in
contatto, perché il nostro mondo è piccolo. Oggi apprezzo molto il social
network, e in particolare Facebook non solo per tenermi in contatto: è una vera
agorà con scambi di idee interessanti dove a volte si scoprono aspetti umani e
le idee dei colleghi musicisti più che in altre circostanze. Interagisco molto,
siamo tutti persone curiose e comunicare è essenziale. In realtà non ci sentiamo
più un “ensemble” in maniera
tradizionale, come dicevo prima. Silentia Lunae è un catalizzatore, abbiamo il karma, se uno ci crede, della materializzazione improvvisa e miracolosa in tempi difficili. Mi interessa essere su una lunghezza d’onda con le persone dietro ai musicisti. Quando c’è quel contatto umano, si crea una scintilla da cui scaturisce sempre ottima musica. Apprezzo moltissimo chi si dedica alla danza, forse anche perché non so danzare. Il lavoro insieme è costruttivo, e negli ultimi anni ho molto apprezzato, tra tutti i collaboratori, Clara Armani e Maurizio Lucchetta per la grande professionalità e capacità tecnica e interpretativa. Lavorare con la danza richiede molta attenzione agli equilibri tra movimento corporeo e il muoversi della musica, è un ottimo esercizio per chi suona e mette in contatto con quella grazia innata che gli inglesi chiamano “lilting”, l’oscillare vagamente irregolare del tempo col corpo, la vera “inegalité” della musica barocca.
tradizionale, come dicevo prima. Silentia Lunae è un catalizzatore, abbiamo il karma, se uno ci crede, della materializzazione improvvisa e miracolosa in tempi difficili. Mi interessa essere su una lunghezza d’onda con le persone dietro ai musicisti. Quando c’è quel contatto umano, si crea una scintilla da cui scaturisce sempre ottima musica. Apprezzo moltissimo chi si dedica alla danza, forse anche perché non so danzare. Il lavoro insieme è costruttivo, e negli ultimi anni ho molto apprezzato, tra tutti i collaboratori, Clara Armani e Maurizio Lucchetta per la grande professionalità e capacità tecnica e interpretativa. Lavorare con la danza richiede molta attenzione agli equilibri tra movimento corporeo e il muoversi della musica, è un ottimo esercizio per chi suona e mette in contatto con quella grazia innata che gli inglesi chiamano “lilting”, l’oscillare vagamente irregolare del tempo col corpo, la vera “inegalité” della musica barocca.
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