di FRANCESCO GALLINA
Gentile dott. Feltri,
le scrivo dopo aver assistito alla turbolenta diatriba suscitata dal suo articolo pubblicato il 17 agosto 2015 sul «Fatto Quotidiano». Quanto scriverò non vuole alimentare nessuna polemica - magari qualche riflessione - e non sarà fazioso o "di parte", sebbene le scriva uno studente sfaccendato iscritto alla Facoltà da Lei più vituperata: Lettere. Premetto, altresì, che nutro profondo rispetto per tutti, bocconiani compresi, e credo che non ci sia da foderarsi gli occhi davanti ai numeri da lei forniti nell'articolo. Sono qui, invece, per porre una serie di quesiti, che con i numeri hanno ben poco a che vedere. Studiare Lettere o affrontare un qualsiasi altro ramo umanistico non è bello, laddove per bello si intende comunemente fatato, facile, all'acqua di rose, divertente. Insomma, un piacevole passatempo. Reale è anche la sopravvivenza di una fetta di studenti che scelgono Lettere perché non sanno cos'altro fare - ma vogliono a tutti i costi una laurea- circolando la notizia che a Lettere si leggono dei bei (vd. sopra) libri. Le mele marce, tuttavia, vivacchiano un po' ovunque e non devono avere voce in capitolo. Mele marce sono e mele marce restano.
Per il resto, non starò a tessere le lodi della facoltà che frequento, bensì porrò in evidenza alcuni dubbi e considerazioni.
1- Gli studi belli non esistono. Lo studio bello è quello che permette allo studente di arrivare al 6 - o 18 - politico e c'è in tutte le facoltà del mondo: si chiama sindrome del fancazzismo, e si coltiva sin dalle elementari. Lo studente valido, da qualunque dipartimento provenga, sa che studiare è bello solo e soltanto se quanto studia non gli avvelena la propria esistenza. Ovvero: "voglio fare il medico perché mio padre è medico e pretende che anche io lo sia; lo faccio, ma non ne ho voglia; ne uscirò fuori, bene o male, poi, tanto, se dimenticherò una garza nella pancia, cavoli del paziente; l'importante è continuare la strada di famiglia". Viceversa, se c'è vocazione per qualcosa, la si studierà, seguirà e accoglierà accettandola in ogni suo aspetto e difetto, nella buona e nella cattiva sorte. Si chiama amore, che è sentimento bello solo per gli ingenui faciloni. Il devoto a una disciplina dirà: "è bello studiare matematica non solo perché ci capisco, ma perché ho deciso di versare il mio sudore anche sui teoremi più ostici; ma non mi lamento, perché è stata una mia scelta e voglio portarla fino in fondo".
2- Lettere non serve a niente. Eppure, fior fiore di studiosi stranieri si riversano a frotte in Italia per studiare non solo la tradizione letteraria italiana, ma persino quella greca e latina! Non arrivano sui barconi, per questo non se ne sente parlare. Che persone inutili... che cosa se ne faranno, lo sanno solo loro. Le biblioteche italiane, poi, sono piene di carta straccia che non aspetta altro che essere mandata al macero. Eppure c'è gentaglia che ha perso la propria vita ad accecarsi sui codici antichi per tramandarci i testi del passato nel modo più puro e originale possibile: si chiamano filologi, questi sconosciuti che dissanguano le proprie energie tanto sui papiri di Ossirinco quanto sui cartigli di Montale.
3- Beni culturali non servono a niente. Eppure, mi dicono che l'Italia sia piena zeppa di opere d'arte e complessi archeologici che non aspettano altro di essere difesi, restaurati o valorizzati. Deve avermelo detto sempre uno di quegli inutili stranieri che vengono a sbavare davanti alle nostre ricchezze. Ricchezze che arricchiscono le casse dei comuni, ma lo Stato Italiano preferisce diffondere la Cultura (un ideale e niente più) e non la cultura. E c'è una bella differenza.
4- Filosofia, non parliamone. Una perdita di tempo. Eppure, mi è sufficiente sentire come uno si esprime, scrive o formula il proprio pensiero, per ponderare il suo valore: non in termini di soldi, ma di intelligenza, serietà e verità. Non serve a nulla studiare i neoplatonici, tanto l'Isis - per fare un esempio - non fa altro che prendere a piene mani dalla cultura averroistica e arabo-platonica e medievale. Chi la studia, saprà come orientarsi anche nell'Islam di oggi, sapere se davvero esiste un Islam moderato e uno radicale o se, invece, aveva ragione la tanto martoriata Fallaci. Cose da poco, insomma, contando che l'Isis sarà il nostro probabile futuro conquistatore. E ben venga, tanto la conservazione dei beni culturali è inutile e costosa, roba da ricchi, roba "di destra". Annichilendo i frutti del genio artistico orientale, l'Isis ha dato prova di saperlo.
Chi fa passare la filosofia come opaco filosofeggiare è un demente, cioè uno che non pensa (de-mens) o pensa male, e quindi parla male. Uno poco appetibile, insomma.
5- A proposito di de-mens: il latino è una baggianata. Il greco, pure. Oggi serve solo l'inglese, no? Il latino è troppo difficile, i nostri figli faticano a capirlo: se Cecilia e Alessandro Gonzaga sapevano tradurre dal greco al latino a 6 anni, erano loro gli scemi, mica noi. Non serve a nulla sapere chi fosse la fidanzata di Catullo, ma come scriveva Catullo, magari, a qualcosa serve. Per non parlare di Cicerone, Seneca o Apuleio. Non serve solo il vocabolario per dirsi alfabeti: oltre al lessico ci sono grammatica e sintassi. Il latino, in questo, è un toccasana.
6- Chi studia lettere legge tanti libri per saper scrivere, e scrive per saper leggere. Chi scrive senza leggere non è uno scrittore.
- Obiezione! Si leggono i soliti classici! Di Dante e della sua Commedia si sa tutto.
Ne siamo sicuri? Se mi sarà concesso, nel futuro vi dimostrerò il contrario. Ma cosa sono i classici? Quale senso ha, oggi, leggerli? E soprattutto: il canone che oggi propinano le antologie ha senso? Sarà mica il caso di rivederlo? E per chi?
7- Per chi, appunto? Qui tocchiamo il punto più dolente: i bambini, i ragazzi. Dei licei? No, di qualsivoglia scuola e indirizzo: l'alfabatesimo deve possederlo il primo luminare del Cern così come l'ultimo facchino della stazione Termini. Facciamoci alcune domande. Quanti ragazzi sanno leggere? Molti, mi si dirà: l'analfabetismo è affar passato. E vi dico: sì, ma l'analfabetismo primario, non quello funzionale. Quanti sanno capire quello che leggono? Quanti sanno scrivere? Quanti scrivere in modo articolato e ragionato? Quanti sanno interpretare la realtà che li circonda? L'OCSE 2004 ha fornito dati imbarazzanti. Un esempio: il 16 agosto si celebrava la scoperta dei Bronzi di Riace e un utente Facebook, per niente ironico, scrive "se li hanno buttati a mare vuol dire che erano veramente brutti".
A voi ogni giudizio.
8- I numeri sono importanti. Ma anche la lingua che, per natura, ci è data prima dei numeri, è importante se sfruttata con intelligenza, non per sparare giudizi di poco senso come dire che studiare Lettere è "di destra": Gaber aveva capito perfettamente che "destra" e "sinistra" sono concetti baggiani, oltreché inutili.
I numeri sono importanti, ma non sono la Bibbia, né l'oracolo di Delfi.
L'economia è importante, l'economia usa i numeri, ma l'economia non è una scienza esatta. Tutt'altro. Lei lo sa meglio di me.
9- Detto questo, tiro le fila. Ricondurre a una questione di responsabilità individuali quelle che sono bacate mode e stili imposti dal sistema economico e dal mercato del lavoro, è un discorso chiaramente fallace. "Di destra", semmai, è l'apprendere per il solo piacere di apprendere. Apprendere per rendere utile il proprio sapere, applicandolo alla realtà, è semplicemente intelligente. L'Italia, fatta di libri, quadri e opere d'arte, non avrebbe bisogno d'altro. Ma l'Italia è anche fatta di bambini che sanno leggere e scrivere male, e non I Promessi Sposi, ma la sola lettera di presentazione al datore d lavoro o persino la tesi di laurea. Ne ho lette alcune scritte peggio delle relazioni parlamentari di Razzi.
Scrivere male non è solo questione di ignoranza, ma anche di mancanza di rispetto per chi legge.
Infine: come insegna Moretti, le parole sono importanti, per non dire vitali. Definire uno studio inutile è quanto meno azzardato.
10- Ultimo dubbio. Il più grande, e lo pongo a lei, dottor Feltri, con tutto il rispetto possibile. Non c'è sarcasmo. Com'è possibile che, con una brillante laurea alla Bocconi, non svolga il lavoro di economista? Vero è che un master in giornalismo non rende necessariamente giornalisti, ma un pezzo di carta uscito dalla Bocconi dovrebbe portare a ben altri e più consoni sbocchi lavorativi. O mi sbaglio?
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