di FRANCESCO
GALLINA
La storia narra
che l'imperatore Tewodros (Teodoro II) di Etiopia abbia ricevuto a corte un'ambasciata di fantomatici botanici inglesi alla ricerca di informazioni
sulla flora africana e che li abbia accolti fornendoli con tanto di cavalli ed
equipaggiamento. Alla fine del viaggio, prima del ritorno, due sudditi
dell'imperatore raggiungono i botanici e li invitano a immergersi nelle acque
per lavarsi. Gli uomini inglesi sono recalcitranti e chiedono spiegazioni, ma
gli etiopi sono impassibili: si immergano nelle acque, e solo dopo riceveranno
spiegazioni. Cioè? Tewodros non è mica inferiore come gli europei bianchi
credevano fosse, ma capisce bene che gli infingardi botanici sono uomini
inviati in avanguardia dalla Regina Vittoria per studiare il territorio in
vista di un'imminente colonizzazione. E quindi, gli inglesi, non potranno dire
di aver incontrato gente sporca e infida.
Tewodros,
tuttavia, a causa di una sconfitta subita proprio dall'esercito inglese, si suicida. Questioni d'onore. Ma l'indipendenza dell'Etiopia
è salva. Almeno fino all'arrivo delle truppe fasciste.
Questa e altre
storie sull'Etiopia si alternano a galvanizzanti e stimolanti esperimenti musicali
nell'originale spettacolo musicale e canoro degli Atse Tewodros Project, gruppo
che prende il nome proprio dall'imperatore etiope, il primo a non appartenere
alla dinastia Salomonica, ma proprio per questo ancor più meritevole di essere
ricordato per carisma e impegno.
Atse Tewodros è un
progetto che mette in dialogo tre musicisti italiani (Michele Giuliano al
pianoforte, Tommy Ruggero alla batteria e percussioni, Camilla Missio al
basso), quattro musicisti etiopici di tradizione (Endres Hassan al violino
monocorda, Fasika Hailu alla lira etiopica, Yohanns Afework al flauto di canna
di fiume e Mesale Legesse alla batteria tradizionale etiopica) e, ultima ma non
ultima, l'eclettica ideatrice Gabriella Ghermandi, scrittrice e attrice dalle ottime
capacità canore e - per le sue origini italo-etiopi - ideale anello di congiunzione fra
Italia ed Etiopia.
La lingua è quella
degli abitanti del posto, a noi pressoché incomprensibile, ma la musica è
universale e si fa messaggera di un popolo al tempo stesso povero e forte,
ferito ed energico. Un popolo, quello etiope, verso cui abbiamo un debito
più di tanti altri popoli africani. Chi sa dell'Etiopia italiana, oggi, sono
gli storici, gli anziani e qualche bravo studente: una conquista insensata che odora di
ideologia, e l'ideologia - destra o sinistra che sia - fallisce e porta con sé il
fallimento. Così per Mussolini, così per il comunismo di Mao. L'ideologia è privazione,
morte del pensiero, cancro della democrazia, quella vera, quella libera.
Lo spettacolo,
rappresentato all'Auditorium del Carmine a Parma, risulta così, da un lato, una
valida occasione per avvicinarci alla musica del Corno d'Africa, dall'altro è
un modo che la musica del Corno d'Africa ha per avvicinarci a noi, senza che le
due culture musicali si scontrino o cancellino nel loro incontro. Un colloquio culturale sano, fruttuoso, come quelli che piacciono a #busillisblog. Perché
l'integrazione, la vera integrazione, non è ideologia (appunto!) ma atto
concreto di amichevole rispetto reciproco. Per molti un ideale, per la musica
una vera missione: basti pensare all'Orchestra israelo-palestinese West Eastern
Divan, ideata nientepopodimeno che dal Maestro Daniel Baremboim.
Non solo la musica
si propone questo compito di vivo umanesimo, ma anche la poesia: per questo la
serata si è aperta con la premiazione del Concorso poetico-fotografico indetto
dall'Associazione Parma Per Gli Altri, che dal 1989 collabora con le comunità
etiopica ed eritrea nella realizzazione di progetti di sviluppo territoriale,
sanitario, scolastico ed economico. Per una ripresa radicata nel territorio,
perché il mito della migrazione è bello solo per chi ci guadagna soldi, non per
il migrante, che si vede costretto ad abbandonare un pezzo della sua esistenza.
La poesia
vincitrice nella sezione Università di Parma è... la mia. Va beh, dicono sia
molto bella, e allora la postiamo. Perché? Perché cozza contro una certa
ideologia (aridaje!) del pensiero unico che è causa di bisticci, guerre.
Persino decapitazioni. Contro il Pensiero Unico, a favore della parola e della pluralità, ma senza dimenticare - dietro la pluralità - la fondamentale ed
inestimabile ricchezza del singolo individuo. E allora vi lasciamo, per oggi,
con Lente a contatto.
LENTE A CONTATTO
L’altro è il
nostro doppio
sottratto
dell’aspetto
nostro, e del
nostro contenuto.
Quello che non la
pensa come noi
ma che, con la
stessa lunghezza d’onda
nostra, vorremmo
radiografasse il mondo.
L’altro è il
nostro specchio,
materica lente a
contatto
perché solo nel
contatto con l’altro
possiamo
interpretarci
secondo
diffrazioni di luce diverse.
E diversi saremo
io e l’altro
mai banalmente
equivalenti
e non per questo
c’azzanneremo
non per questa
differenza dovremo
rinnegare carne e
sangue
nostri, ma
sommarci per mezzo
della parola, solo
autentico
umano nostro
suggello.
Non ne risulterà
incontestabile
matematica, semmai
piacevole
imperfezione
nell’infinito limite
che ci
contraddistingue.
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