di FRANCESCO GALLINA
È una Roma dannunziana, quella di Suburra.
Tutto è pioggia. L'asfalto è pioggia. I corpi sono pioggia,
o forse quel che la pioggia fomenta: il fango.
Piove, diluvia, ininterrottamente. Un'infernale cateratta
apocalittica, che travolge una Roma decadente, dove sono le ombre del passato e
le imponenti architetture barocche a osservare, tacite e impotenti, gli
escrementi criminali e perversi che custodiscono: dagli zingari ricchi e
strafottenti ai politici ridicoli e senza scrupoli, dalle escort erotomani alle
tossicomani che cadono a pezzi.
Ma, se all'Apocalisse segue il trionfo dei puri di cuore e
la caduta dei demoni, nel grandioso film di Sollima l'Apocalisse
è solo un espediente narrativo, per scandire il tempo e il susseguirsi dei
giorni, delle scene, dell'incessante declino. Dopotutto, Roma resta sempre un
tombino a cielo aperto, dove i sorci si tirano per la coda, in una trama che
vede protagonisti provenienti da classi sociali, culture e lingue molto
diverse. Eppure c'è un filo rosso che lega tutti, indistintamente, una
struttura portante, invisibile, seducente e fatale: la ricerca del Potere, un
assenzio che stordisce e porta con sé nient'altro che assenza di pensiero
costruttivo e morte. I protagonisti si muovono senza orientamento, vagano
senza una meta precisa, anche se i luoghi restano sempre gli stessi: Vaticano,
Parlamento, lido di Ostia.
Una Roma anarchica, senza legge, dove le grandi assenti sono
le Forze dell'Ordine. Le uniche sirene sono quelle delle auto blu. Una Roma fin
de siècle, anzi, da compromesso vittoriano: moralismo di facciata, parole
zuccherose alla Renzi e puttane di lusso a letto, dove le pulsioni sessuali si
manifestano nella loro bestiale innaturalezza. I corpi, nudi o coperti che
siano, o si sfiorano o si azzannano ferocemente: più che della volpe, vige la
logica machiavellica del leone, ben rappresentato dal rabbioso cane molosso di
Manfredi Anacleti.
L'intelligenza è messa fuori gioco. Prevale, allora, solo la
furbizia, il sotterfugio, la scorciatoia clandestina, il ricatto, cosicché il
mondo si fa sempre più piccolo, le distanze si riducono, lo spazio diventa
chiuso, claustrofobico. Tutto deve reggere un sistema, ma il sistema vive su
fondamenta volubili, forti solo all'apparenza. Basta poco perché le carte in
tavola si rovescino.
Il Potere si rivela una droga nefasta più dell'eroina
stessa. Finisce una storia, ma non sembra prospettarsi la fine degli
assassinii, delle vendette, delle faide e dell'ipocrisia. Non sono sufficienti
le dimissioni di Berlusconi, quel fatidico 12 novembre 2011, perché le cose
prendano una piega diversa. Una morale gattopardesca, quella di Sollima:
cambiare tutto per non cambiare niente. D'altronde, a Roma, la pioggia continua
a precipitare a dirotto: nelle fogne e nel Tevere, su San Pietro e su Palazzo
Montecitorio. Una pioggia pervasiva, in cui si rispecchia una città squallida, grigia, fetida,
opaca, distorta, senza i contorni precisi. Come quando si perdono di vista le regole.
Una pioggia pesante come un proiettile, fradicia come un
cadavere in putrefazione.
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