domenica 18 ottobre 2015

ROMA, PUTREFATTO CADAVERE IN "SUBURRA"



di FRANCESCO GALLINA







È una Roma dannunziana, quella di Suburra

Tutto è pioggia. L'asfalto è pioggia. I corpi sono pioggia, o forse quel che la pioggia fomenta: il fango. 
Piove, diluvia, ininterrottamente. Un'infernale cateratta apocalittica, che travolge una Roma decadente, dove sono le ombre del passato e le imponenti architetture barocche a osservare, tacite e impotenti, gli escrementi criminali e perversi che custodiscono: dagli zingari ricchi e strafottenti ai politici ridicoli e senza scrupoli, dalle escort erotomani alle tossicomani che cadono a pezzi. 

Ma, se all'Apocalisse segue il trionfo dei puri di cuore e la caduta dei demoni, nel grandioso film di Sollima l'Apocalisse è solo un espediente narrativo, per scandire il tempo e il susseguirsi dei giorni, delle scene, dell'incessante declino. Dopotutto, Roma resta sempre un tombino a cielo aperto, dove i sorci si tirano per la coda, in una trama che vede protagonisti provenienti da classi sociali, culture e lingue molto diverse. Eppure c'è un filo rosso che lega tutti, indistintamente, una struttura portante, invisibile, seducente e fatale: la ricerca del Potere, un assenzio che stordisce e porta con sé nient'altro che assenza di pensiero costruttivo e morte. I protagonisti si muovono senza orientamento, vagano senza una meta precisa, anche se i luoghi restano sempre gli stessi: Vaticano, Parlamento, lido di Ostia. 
Una Roma anarchica, senza legge, dove le grandi assenti sono le Forze dell'Ordine. Le uniche sirene sono quelle delle auto blu. Una Roma fin de siècle, anzi, da compromesso vittoriano: moralismo di facciata, parole zuccherose alla Renzi e puttane di lusso a letto, dove le pulsioni sessuali si manifestano nella loro bestiale innaturalezza. I corpi, nudi o coperti che siano, o si sfiorano o si azzannano ferocemente: più che della volpe, vige la logica machiavellica del leone, ben rappresentato dal rabbioso cane molosso di Manfredi Anacleti. 
L'intelligenza è messa fuori gioco. Prevale, allora, solo la furbizia, il sotterfugio, la scorciatoia clandestina, il ricatto, cosicché il mondo si fa sempre più piccolo, le distanze si riducono, lo spazio diventa chiuso, claustrofobico. Tutto deve reggere un sistema, ma il sistema vive su fondamenta volubili, forti solo all'apparenza. Basta poco perché le carte in tavola si rovescino. 

Il Potere si rivela una droga nefasta più dell'eroina stessa. Finisce una storia, ma non sembra prospettarsi la fine degli assassinii, delle vendette, delle faide e dell'ipocrisia. Non sono sufficienti le dimissioni di Berlusconi, quel fatidico 12 novembre 2011, perché le cose prendano una piega diversa. Una morale gattopardesca, quella di Sollima: cambiare tutto per non cambiare niente. D'altronde, a Roma, la pioggia continua a precipitare a dirotto: nelle fogne e nel Tevere, su San Pietro e su Palazzo Montecitorio. Una pioggia pervasiva, in cui si rispecchia una città squallida, grigia, fetida, opaca, distorta, senza i contorni precisi. Come quando si perdono di vista le regole.


Una pioggia pesante come un proiettile, fradicia come un cadavere in putrefazione.

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