mercoledì 22 luglio 2015

L'ECSTASY DI SANTA TERESA


di FRANCESCO GALLINA


L'arte e l'etimologia, a volte, possono essere salvifiche più di qualsiasi Beatrice dantesca.
Se nella scuola statale l'arte avesse lo spazio che deve, si studierebbe di più quel capolavoro che è la Trasverberazione di Santa Teresa d'Avila di Gian Lorenzo Bernini. Prediletta meta turistica e feticcio di Dan Brown, la Teresa del Bernini è, fuori da ogni tabù, una donna che perde i sensi masturbandosi al cospetto di Dio. Detta così, fosse in vita Torquemada, vi starei per dare l'addio sulla strada del rogo. Per fortuna, la Santa Inquisizione non c'è più.
Guardatela bene, quella bella fanciulla velata, fra le braccia di un angelo che, avvolto dalla luce accecante di bronzo, la seduce con la punta di una freccia (chi vuole intendere, intenda). Ma l'amore che Teresa prova per Dio non ha su di lei lo stesso effetto di una comune relazione sessuale, dove gli attanti si ecciterebbero nel pieno dei loro sensi, straripanti di vitalità. No. L'amore che Teresa prova per quel Dio (in realtà un puro Ideale) è lo stesso che spinge un ragazzo a provare l'ecstasy, quell'incontenibile desiderio di fare un'esperienza che va al di là dell'esperienza, perché oltrepassa ogni confine. E, oltre il confine del confine, c'è la terra di tutti e di nessuno: la morte.  Teresa, osservando bene, non giace gioiosa su un letto, a fare l'amore come i comuni mortali. No. Teresa è immobile, priva di sensi su di una nuvola, con quegli occhi "al cielo" che solo un bravo morto può avere. Teresa, vi assicuro, prova la stessa sensazione dei beati (o meglio, beoti) descritti da Dante nel Paradiso, ovvero non prova alcuna sensazione. La privazione dei sensi, fino a prova contraria è, forse eccetto casi particolari, indice di morte. All'opposto, le anime dell'Inferno percepiscono tutto, perché sono legate alla carne: per questo, da cristiano quale sono (!), mi stanno molto più simpatiche delle inconsistenti lucciole che popolano il Paradiso.
Dove voglio arrivare? Condannare chi fa uso di ecstasy? Neanche per sogno. Per me, un ragazzo di 16 anni non è un'ameba: sa perfettamente quali rischi si corrono assumendo certe sostanze e, se non lo sa, dovrebbe immaginare che ingerire una pasticca di droga (MDMA, ma non solo) non è come fumare una sigaretta. Non siamo qui a scagliare colpe, sebbene la colpa principale sia del ragazzo: la colpa è sempre di colui che dà l'assenso a un'azione, anche se giovane, anche se ingenuo, anche se per sbaglio. Ma qui non si vuole parlare di responsabilità, tanto meno fare il terzo grado a chi ha lasciato questo mondo.
Mi interessa più parlare di arte, invece, perché Bernini - forse inconsapevolmente - insegna che l'estasi è morte. Chi lo sa, può decidere cosa fare di testa sua, se ha una testa. Che poi: perché rendere illegale la droga? Se uno vuole fare esperienza della morte, è liberissimo di farlo, l'importante è che poi non ci si lamenti. D'altronde, l'etimologia di estasi, significa "essere fuori di sé" e l'anima, il proprio sé, dicono (ma ci credo poco) esca fuori dal corpo proprio quando giunge la morte.
L'ecstasy, come fuga dalla realtà, non è un'invezione degli americani. La inventarono per primi le baccanti, Platone, Plotino e i neoplatonici. Poi vennero gli insopportabili mistici medievali. Infine noi, che viviamo in questo Medioevo più medioevale del Medioevo stesso, dove le droghe, invece si essere concepite esclusivamente per scopi terapeutici, sono un modo per raggiungere ideali al di fuori del carcere corporeo. Ma gli ideali sono sempre forieri di morte.
Dio è morto per Nietzsche, non per noi del secolo XXI.

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