sabato 27 agosto 2016

UN POETA A CASO, MA NON TROPPO: SALVATORE QUASIMODO



di FRANCESCO GALLINA



Versi liberi per raccontare l'assenza di libertà: la morte. Smembrata dai bombardamenti dell'agosto 1943, la città di Milano è un cadavere polveroso, immobile, putrefatto. Una "povera mano" cerca tra quelli che Ungaretti avrebbe definito "brandelli di muro". Ma il poeta, davanti alla catastrofe, non ostenta più alcuna speranza, solo un atroce, pragmatico pessimismo. Questo breve componimento di Salvatore Quasimodo è una lirica in negativo ("non scavate", "non hanno più sete", "non toccate"), il canto disperato di un uomo di fronte agli effetti apocalittici di un conflitto disumano. L'arresto cardiaco della città lascia dietro di sé una bava di impotenza, massima rassegnazione. Così, la musicalità ermetica, le raffinate analogie, lasciano spazio a immagini vivide, squadrate. 
Se non conoscessimo il contesto, questa poesia tratta da Giorno dopo giorno (1947) sembrerebbe la fotografia in versi di quanto accaduto nei Paesi dell'Italia Centrale colpiti dal sisma. La povera mano, però, non si è arresa e ha portato i suoi frutti. In mezzo a tanto sciacallaggio e cannibalismo mediatico, abbiamo visto emergere la vita dalle macerie. Quale sarà la qualità di quelle vite, ora, è un enigma che solo fra alcuni anni potremo decifrare. Di certo, i paesi non si risollevano da un giorno all'altro. Resta ancora, e resterà indelebile per sempre, la disperazione davanti alla violenza indifferente della terra.
Per la consueta rubrica del sabato, #busillisblog accompagna i versi di Quasimodo con un dipinto barocco di Anonimo siciliano, che ritrae in chiave classica il sisma del 1693.




MILANO, AGOSTO 1943

da GIORNO DOPO GIORNO di SALVATORE QUASIMODO











Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.


mercoledì 24 agosto 2016

ANTISISMICA: STORIA DI "UN DOVERE DELL'INTELLETTO UMANO"




di FRANCESCO GALLINA









Quando vidi per la prima volta il Colosseo non mi stupii tanto della sua bellezza, quanto della sua resistenza. Mi chiesi, insomma, come fosse possibile che avesse retto per tutti questi secoli. Poi entrai nel Pantheon, e la proporzione della domanda si accentuò. Eppure sappiamo che nella tarda antichità Roma subì terremoti tremendi che durarono per estesi lassi di tempo, anche quaranta giorni, come quello del 476. Ma il Colosseo regge. Regge sempre. E anche il Pantheon. E tutte quelle opere costruite nei secoli passati che affrontano lo scorrere del tempo con nonchalance

Quando stamani sono venuto a sapere dei danni causati dal terremoto che ha colpito il Centro Italia, ho subito pubblicato su Facebook il video che riprendeva gli effetti  del terremoto di magnitudo 9 che colpì il Giappone nel 2011. Effetti in simultanea, ripresi da abitanti o lavoratori all'interno di edifici diversi. Che cosa ci dice quel video? Che dobbiamo imparare dai giapponesi. Crolla tutto tranne che le case. Ed è magnitudo 9. Quindi? Quindi per evitare disastri c'è solo una soluzione: costruire edifici antisismici. E un'indagine del 2010 dimostra che solo il 27% delle nuove case costruite è antisismica. 







Verso mezzogiorno esce una breve ma ficcante intervista al sismologo e geofisico Enzo Boschi che rilascia queste parole: "In Italia si costruisce bene solo dopo sismi gravi. A Norcia ci fu un disastro nel 1979 e si è proceduto con interventi antisismici: infatti i danni di stanotte lì sono stati irrilevanti".

Mi viene fatto notare che è un'ovvietà, ma rispondo che se si prestasse maggiore attenzione alle ovvietà sarebbe meglio. Magari anche alla storia, che insegna sempre, ma non è mai ascoltata come si dovrebbe. Che poi si credesse alla teoria dei venti di Aristotele - teoria fantascientifica - è un altro paio di maniche: quel che stupisce è che i romani si interessavano alla sicurezza degli edifici. Cosa che si perde già nel Medioevo, intriso com'è di superstizione. Che c'entra? C'entra che il terremoto è interpretato come una punizione divina, e così si accetta senza porsi troppi problemi. Eppure le pievi romaniche del parmense hanno retto egregiamente.

Ci vogliono umanisti del calibro di Leonardo da Vinci perché si riscopra l'interesse per il demone del terremoto. Leonardo è un genio, ma non escogita soluzioni stravaganti, proprio perché l'essenziale sta nelle cose semplici, come in travi che si possono collocare fra i muri portanti degli edifici. Ma il primo grande architetto che teorizza - e mette in pratica - in concetto di costruzione antisismica è il napoletano Pirro Logorio, l'architetto del Parco dei Mostri di Bomarzo - per intenderci -, che studia il caso del terremoto che colpì Ferrara nel 1570, evento tragico, certo, ma che gli offre l'occasione per stendere il Trattato de' diversi terremoti, in cui compare il progetto di prima casa antisismica. Bisognerà attendere la metà del '700 perché venga progettata la gaiola portoghese presa a modello da Pombal per ricostruire Lisbona rasa al suolo. Ligorio ha il merito indiscutibile di comprendere che, se la terra non può essere intelligente, lo deve essere l'uomo, che dalla terra può trarre frutti, ma anche morte. Non l'uomo al servizio della terra, ma la terra al servizio dell'uomo, nel bene e nel male. Vivere sicuri nelle proprie abitazioni è - parole testuali - "un dovere dell'intelletto umano". Perché Ferrara non ha dedicato un monumento a Pirro Ligorio?

Ma passiamo al Seicento, secolo segnato da molteplici catastrofi sismiche, che sollecitano gli studi di Cartesio in Francia e a Francesco Travaglini in Italia, nome anche questo sconosciuto, ma che ha gettato le basi per comprendere la reale causa del terremoto: le onde sismiche. Nel secolo successivo è il veneziano Eusebio Sguario che distingue analizza gli effetti del moto ondulatorio e sussultorio sugli edifici, proponendo di aumentare la compressione sulle murature. Sempre nel '700 è Francesco Milizia ad esaminare il problema, e allora pensa di spostare il baricentro verso il basso: il progetto però è privo della venustas vitruviana, prevede poche aperture e risulta esteticamente discutibile. 

Infine, voglio ricordare Francesco La Vega, che verso la fine del '700 propone un edificio intelaiato riempito di terra e paglia, che trova fortuna nell'Italia meridionale, al tempo dei Borbone, che stipulano le Normative Pignatelli (1784) che impongono rigide norme. Norme che pochi anni dopo saranno snobbate per pure ragioni politiche. La storia sarebbe ancora molta lunga, ma con l''800 la sismologia trova sempre più terreno fertile, più in ambito scientifico che legislativo. La speculazione edilizia del Secondo Dopoguerra lo dimostra. Risuonano a vuoto le parole di Pertini dopo il terremoto in Irpinia. I terremoti sono legittimi (la Terra non segue leggi, se non quelle fisiche attribuitele dall'Uomo). Disinteressarsi delle norme antisismiche non solo è illegittimo, ma diabolico.


sabato 6 agosto 2016

UN POETA A CASO, MA NON TROPPO: GIANCARLO BARONI




di FRANCESCO GALLINA



Ormai è trascorso più di un anno da quando #busillisblog affrontava la questione delle copertine dei libri. Sostenevo che quella della copertina sia un'arte a tutti gli effetti di cui spesso ci si dimentica, attratti come si è dal solo contenuto del libro. Ma la copertina esercita un'influenza notevolissima. Se leggere è un'operazione intellettuale, anche l'occhio è dotato di intelletto e, se educato al buon gusto, ama le cose belle. Quell'articolo si fermava alla copertina. Oltre alla copertina, poi, c'è il libro vero e proprio, la corazza che custodisce l'opera. Nel tempo della cosiddetta crisi (anche editoriale) non possiamo lamentarci più di tanto, e ci accontentiamo di leggere su pagine riciclate, sottili, sottilissime, che basta niente che si strappino. Tanto - diciamo - l'importante è il testo. Non c'è dubbio.

Eppure la lettura è un'esperienza estetica che dovrebbe coinvolgere i sensi. Tutti. Il libro è quella 'cosa' che, prima ancora che essere letta, dovrebbe fare esclamare al lettore, dentro di sé: "Ma che piacere sfogliare questo libro!".
La scelta della carta, la dimensione, la sua porosità; ragionare sui pieni, sulle immagini, sugli spazi bianchi. Anche questo significa produrre un libro pregevole. Ho trovato queste qualità nel libro che il poeta Giancarlo Baroni mi ha offerto in dono un mese fa. Dono graditissimo, che si andava ad aggiungere allo splendido diario in versi elargitomi dall’egregio poeta Gian Carlo Artoni. Mi sarebbe toccata una goduriosa full immersion nella poesia parmigiana contemporanea. 

I merli del giardino di San Paolo e altri uccelli (Grafiche STEP, 2016) si presenta come una raccolta ragionata di poesie ornitologiche tanto piccola quanto preziosa per composizione, copertina (una bellissima illustrazione di Vittorio Parisi) e prefazione (scritta da Pier Luigi Bacchini, scusate se è poco). La Prima parte dell'opera è suddivisa nelle sezioni Alzarsi in volo, Federico II e i merli del Giardino di San Paolo e Una geografia celeste; segue la Seconda parte, introdotta da un breve scritto critico di Fabrizio Azzali. 

I quadretti naturalistici di Baroni si sposano alla perfezione con le illustrazioni di Vania Bellosi e Alberto Zannoni. Il poeta decide quindi di accompagnare l'armonia della linea e del colore alla sua parola, dando vita a una piacevolissima commistione di codici espressivi. Tutto su carta patinata. Come se l'arte figurativa volesse attutire il fine e rigoroso sguardo scientifico che il poeta usa come arma per scandagliare l'universo dei volatili. Ma non lasciamoci ingannare. Dietro l'osservazione certosina della natura c'è dell'altro. Dalle animose conversazioni degli intelletti alati emergono metafisici messaggi rivelatori. Gli uccelli ci avvertono: Ingenuamente tentate di indovinare / dai nostri voli il vostro futuro / i progetti di chi ci sovrasta. / Vi illudiamo di essere coinvolti / in quello che non sappiamo.  

Per la consueta rubrica poetica del sabato di #busillisblog, vi proponiamo L'ex convento di San Paolo (tratto dalla sezione dedicata a Federico II), sei strofe di carattere didascalico dove a parlarci sono proprio i merli che danno il titolo all'opera. Eccoli, dunque, i merli, canori Virgilio che ci guidano alla scoperta di una delle meraviglie artistiche di Parma, la Camera dell'austera e coltissima Badessa Giovanna di Piacenza, conosciuta ai più come Camera di San Paolo. Dai cinguettii sincopati di metro vario possiamo spiare per un momento Giovanna, avvicinarci al Correggio, per poi spiccare il volo sopra alcuni loci amoeni parmigiani. Accompagniamo le liriche con uno dei sedici ovali in cui è spartita la volta a ombrello della Camera della Badessa. Grandi protagonisti sono i putti che "Galleggiano / per aria". 




L'EX CONVENTO DI SAN PAOLO






(è ricco di natura cultura e arte, a cominciare dalla splendida Camera affrescata dal Correggio; nel suo giardino abitano i nostri merli)

*

Qui ci sentiamo
protetti dai rapaci
anche mentre dormiamo ci piace
considerarci merli fortunati.


*

In autunno ci aiutano
le bacche rosse del biancospino
durante l’inverno restiamo. Migratori
venuti a farci visita
ripartono se gela
verso mete più calde.


*

Nelle giornate nebbiose 
gonfie di pioggia e neve
sui rami del giardino ripetiamo
l’inverno si può sopportare.


*

La badessa Giovanna che ha assegnato
il compito di affrescare una stanza
del proprio appartamento al Correggio
dicono custodisse
un libro miniato sugli uccelli. Sopra quei fogli
il timbro imperiale con l’effigie del falco.


*

I putti che si affacciano dal soffitto
della stanza affrescata dall’Allegri
vivono sulle nuvole. Galleggiano
per aria scherzano fra le foglie,
fanno cucù sugli alberi.
Assomigliano a noi, contenti
se Diana a caccia ritratta sul camino
un giorno o l’altro rosola


*

Fino alla Cittadella
antica fortezza farnesiana
da altri merli
quasi per intero popolata
d’estate ci spingiamo. Poi
completando la breve migrazione
dentro l’orto botanico. Le sue piante
ci offrono refrigerio e bacche preziose.