giovedì 29 dicembre 2016

OLTRE 100.000 VISUALIZZAZIONI. AUGURI DA #BUSILLISBLOG



di FRANCESCO GALLINA





Del 2017, le certezze sono poche. Nuove turbolenze esistenziali si stagliano all'orizzonte. L'incarico di ricoprire una cattedra liceale, a 24 anni, è stata una conquista non scontata: è giunta inaspettata, un mese fa. Inaspettata come queste 100.000 visualizzazioni. Solo a luglio festeggiavo con voi, a un anno dalla sua fondazione, le 55.000 visualizzazioni di #busillisblog, questa strana creatura fatta di poesia, arte, parmigianità, storia, filosofia e tante golose curiosità legate al mondo della cultura. Passati cinque mesi, eccoci a un nuovo importante traguardo. 
50.000 visualizzazioni in cinque mesi significa una media di 10.000 lettori mensili.

Questo post è dedicato a tutti voi che, casualmente o sistematicamente, sostenete questo progetto con le vostre letture, la vostra partecipazione, i vostri dibattiti, la vostra presenza e, soprattutto, le vostre condivisioni. Non possono essere ringraziamenti patriottici, o perlomeno non possono esserlo del tutto, perché di 100.000 visitatori, 80.000 provengono dal territorio italiano, ma la vera sorpresa sono i restanti 20.000. Siete meno, certo, ma voi, voi che leggete dagli Stati Uniti, Francia, Germania, Russia, Regno Unito, Svizzera, Spagna, Irlanda, Bulgaria, voi, proprio voi, avete reso #busillisblog internazionale.

E quindi... grazie, thanks, merci, danke, spasibo, grasias a tutti voi! Voi che avete apprezzato le bellezze parmigiane, voi che avete giudicato originale il taglio e lo stile degli articoli, voi che frequentate assiduamente la rubrica settimanale Un poeta a caso, ma non troppo, voi che siete capitati accidentalmente e vi siete affezionati, voi che ci siete capitati per caso, voi che ci avete dato solo una sbirciata, voi che mi avete contattato su Facebook per conoscermi e avere consigli di lettura e di viaggio. Voi che, insomma, avete avuto fiducia in me.

Ecco la TOP 10 degli articoli più letti in assoluto:












Il futuro di #busillisblog è un... busillis. Qualche gradino è stato salito. Nuove collaborazioni sono iniziate: ad esempio, sono curatore della pagina culturale del quotidiano online Il caffè quotidiano, dove nella mia 'Drogheria dell'Arte' potrete trovare, ogni settimana, pagine dedicate all'arte parmigiana (e non solo): http://www.ilcaffequotidiano.com/drogheria-dell-arte/

Salire per il solo gusto di salire non ha alcun senso, a meno che non si voglia salire sulle spalle dei giganti per prendere coscienza della nostra Civiltà e imparare a rialzarsi dagli errori, propri e della Storia. E su quelle spalle, robuste e possenti, ammirare i frutti migliori dell'umanità, punti imprescindibili per guardare avanti, verso l'orizzonte. E proprio da quei punti, #busillisblog ha iniziato la propria esistenza. Concludevo così il post n.1:  

Non ho la più pallida idea di quali pieghe prenderà questo blog, ma puntualmente offrirà spunti di riflessione, analisi, snack o trucioli di pensiero su problemi attuali, legati a persone di cui valga la pena spendere due parole, critica letteraria, poesia, teatro, cinema, storia, viaggi, scuola, filosofia. E, se sbatterò la testa contro uno spigolo, anche di fashion, talk show e scie chimiche; ma dovrei sbatterla forte, molto molto forte. Dev'essere successo anche a Euclide quando scrisse che "un punto è ciò che non ha parti". Non scherziamo! I punti non solo hanno parte, ma anche arte.

Punto. O forse no.


(buon 2017!)



sabato 17 dicembre 2016

UN POETA A CASO, MA NON TROPPO: LEONARDO SINISGALLI



di FRANCESCO GALLINA




Su un asfalto arrossato dal sole al tramonto, giocano, i bambini giocano anche durante la guerra. Non hanno molto, se non i centesimi di rame del Reno d'Italia, che lanciano contro il muro facendole rimbalzare a terra. Scatenati, si lanciano parolacce e "dolcissime ingiurie", dando adito a tutta la loro impulsività infantile. C'è del tenero, nei versi di Leonardo Sinisgalli che proponiamo per la consueta rubrica del sabato di #busillisblog, tratti da Vidi le muse  (1943). Eppure non possiamo non pensare al contesto in cui la raccolta poetica esce, nel vivo della Seconda Guerra Mondiale. Anche i bambini fanno la guerra, sono capaci di una seppur innocente violenza. Eppure violenza rimane. Basta poco per scatenare la guerra, basta poco per mettervi fine.  E così è anche nel gioco delle monete rosse: quando l'energia fanciulla svanisce, ritorna la pace. Resta sulla scena un ultimo bambino: il vincitore.
Accompagniamo i versi di Sinisgalli con una foto quanto mai attuale: anche in mezzo alle macerie dei carri armati si può giocare. Giocare alla pace, in Siria, a Kobane.



[I FANCIULLI BATTONO LE MONETE ROSSE]

da VIDI LE MUSE di LEONARDO SINISGALLI





I fanciulli battono le monete rosse
contro i muri. (Cadono distanti
per terra con dolce rumore.) Gridano
a squarciagola in un fuoco di guerra.
Si scambiano motti superbi
e dolcissime ingiurie. La sera
incendia le fronti, infuria i capelli.
Sulle selci calda è come sangue:
il piazzale torna calmo.
Una moneta battuta si posa
vicino all’altra alla misura di un palmo.
Il fanciullo preme sulla terra
la sua mano vittoriosa.


UN POETA A CASO, MA NON TROPPO: LEONARDO SINISGALLI




di FRANCESCO GALLINA



Su un asfalto arrossato dal sole al tramonto, giocano, i bambini giocano anche durante la guerra. Non hanno molto, se non i centesimi di rame del Reno d'Italia, che lanciano contro il muro facendole rimbalzare a terra. Scatenati, si lanciano parolacce e "dolcissime ingiurie", dando adito a tutta la loro impulsività infantile. C'è del tenero, nei versi di Leonardo Sinisgalli che proponiamo per la consueta rubrica del sabato di #busillisblog, tratti da Vidi le muse  (1943). Eppure non possiamo non pensare al contesto in cui la raccolta poetica esce, nel vivo della Seconda Guerra Mondiale. Anche i bambini fanno la guerra, sono capaci di una seppur innocente violenza. Eppure violenza rimane. Basta poco per scatenare la guerra, basta poco per mettervi fine.  E così è anche nel gioco delle monete rosse: quando l'energia fanciulla svanisce, ritorna la pace. Resta sulla scena un ultimo bambino: il vincitore.
Accompagniamo i versi di Sinisgalli con una foto di Odd Andersen, scattata a Sarajevo nel 1996, alla fine della guerra in Bosnia ed Erzegovina.



[I FANCIULLI BATTONO LE MONETE ROSSE]

da VIDI LE MUSE di LEONARDO SINISGALLI





I fanciulli battono le monete rosse
contro i muri. (Cadono distanti
per terra con dolce rumore.) Gridano
a squarciagola in un fuoco di guerra.
Si scambiano motti superbi
e dolcissime ingiurie. La sera
incendia le fronti, infuria i capelli.
Sulle selci calda è come sangue:
il piazzale torna calmo.
Una moneta battuta si posa
vicino all’altra alla misura di un palmo.
Il fanciullo preme sulla terra
la sua mano vittoriosa.


sabato 10 dicembre 2016

UN POETA A CASO, MA NON TROPPO: SANDRO PENNA



di FRANCESCO GALLINA



In mezzo al germogliare di ermetismi vari e compositi, Sandro Penna si mantiene su quella che Pasolini definì la 'linea antinovecentesca', il che equivale a versi nitidi e comprensibili grazie all'uso di un linguaggio quotidiano e di una sintassi semplice. Lungi da retorici grovigli e immagini visionarie, Penna abbraccia una fluida narratività, donandoci graziose descrizioni agrodolci, spesso incentrate sulle figure di fanciulli e giovani uomini, vera e propria ossessione (omo)erotica del poeta. Per la consueta rubrica poetica del sabato, #busillisblog propone [La veneta piazzetta], breve idillio contenuto in Poesie, la prima raccolta di Penna del 1939. Sullo sfondo di una solitaria piazzetta veneta si staglia l'immagine luminosa e vitale di un ciclista che si rivolge all'amico (a piedi o in bici?) con una breve, incisiva domanda. Due sole parole, un profondo e ambiguo interrogativo.
La accompagniamo con un olio su tavola dal titolo Ciclista (1926), opera di Enzo Benedetto, importante esponente del secondo futurismo italiano e in qualche modo predecessore del Neofuturismo.


[LA VENETA PIAZZETTA]

da POESIE di SANDRO PENNA







La veneta piazzetta,
antica e mesta, accoglie
odor di mare. E voli
di colombi. Ma resta
nella memoria – e incanta
di sé la luce – il volo
del giovane ciclista
vòlto all’amico: un soffio
melodico: «Vai solo?».


giovedì 8 dicembre 2016

LATINO POLITICHESE? NO, GRAZIE.



di FRANCESCO GALLINA







Dobbiamo al grande politologo Giovanni Sartori il peccato originale dell'aberrante latinorum politichese odierno che, per traducianismo ereditario, sta sviluppando i suoi balordi effetti nella lingua (tele)giornalistica. Non c'è quotidiano che non ne sia sedotto. Mai moda neologistica fu più pestilenziale.
Era il 1993: nasceva la Seconda Repubblica e l'allora DC Sergio Mattarella propose una nuova legge elettorale (maggioritaria per tre quarti e proporzionale per un quarto), che passava al vaglio con il referendum del 18 aprile. È lì che, sul Corriere della Sera, Sartori conia il neologismo Mattarellum. Ve lo riporto direttamente dall'archivio del  «Corriere»http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/19/riforma_profundis_co_0_93061915707.shtml


Ma non finisce qui. Nel 2005, la legge Mattarella è sostituita dalla legge elettorale il cui relatore è Calderoli. Non ci vuole molto perché il Sartori si ingegni e coni a fine 2005 il fortunatissimo Porcellum  (premio di maggioranza e soglie di sbarramento), poi chiamato calderolum e dichiarato incostituzionale nel 2013. E a buona ragione, dato che il suo stesso estensore, Calderoli, appunti, la definì una "porcata".
Non c'è il due senza il tre. Ecco che arriva Renzi e sboccia l'Italicum, che prevede premio di maggioranza, soglie di sbarramento e collegi plurinominali. A Sartori Italicum non garba, e propone Bastardellum, sempre sul Corriere della Sera.
Intanto, però, nel 1995 nasce per mano di Pinuccio Tatarella il Tatarellum legge concepita per regolare il sistema elettorale regionale a statuto ordinario. Nel 2007 il PD propone con Salvatore Vassallo il mai approvato Vassallum. Nel settembre 2010, è Casini a coniare il termine Provincellum, avanzando una proposta di legge elettorale nazionale che si adeguasse alle leggi dei consigli provinciali. Non vogliamo certo dimenticare, poi, i meno conosciuti Matteum, fiorentinum, svizzerum,  e cangurum, per l'ispirazione al modello australiano, e maialinum, come Renzi definì il porcullum corretto, o ancora il Quagliarellum, il Verdinum o il grillino pregiudicatellum, usato per affossare l'Italicum.
Che poi, a me, Italicum, ricorda Italicus. E non è un bel sentire: chi sa della strage neofascista del '74, sa di cosa parlo. 

Il latino maccheronico fu magnifica e brillante arte di Teofilo Folengo. Lasciamo a lui il primato, insieme a pochissimi altri.
Oggi il latino non necessita di essere pagliacciato: lo è già a sufficienza nei programmi scolastici statali. Il vocabolario italiano e il lessico giuridico-legislativo è già attrezzato a dovere senza prendersi l'onere di aggiungere inutili parole. I grandi non ci fanno caso, ma i ragazzi non sono mica scemi e questo sfottio latineggiante potrebbe, a lungo andare, alimentare pensieri tipo: l'utilità del latino? coglionare!
Si usi il latino in modo intelligente e costruttivo. E, soprattutto, si riscopra l'uso di termini tecnici come uninominale, camerale, proporzionale, maggioritario, etc...

Perché ingolfare il lessico televisivo, già piatto e misero di suo, con inutili neologismi?

Cui prodest? Ops...


giovedì 1 dicembre 2016

ALLA RICERCA DI FOGLIE: L'ORTO BOTANICO DI PARMA


di FRANCESCO GALLINA





Ho un passato torbido. Pochi lo sanno, ma prima di appassionarmi alla letteratura, conducevo vita appartata alla ricerca di foglie. Agli inizi del nuovo millennio, avreste potuto vedere uno strano, piccolo figuro vagare per giardini con quadernetto in mano e penna. La fissa per la botanica mi condusse alla creazione di un erbario di quasi cinquecento foglie, tutte di specie differenti: dall'Aspidistra alla Ziziphus sativa, dal Kenaf al Karkadé, dal Tamarindo al Mirabolano, dall'Indaco selvatico alla Jojoba.
Luoghi prediletti di questo strambo tizio - io - erano gli orti botanici. Avevo - ed ho - una magnetica attrazione per gli orti botanici. Forse perché in origine avrei voluto diventare un botanico, poi le cose hanno preso una piega diversa. Di quei tempi è rimasto il sano spirito positivista del piccolo pazzo botanico alla ricerca della pianta rara. Animo che mi accomuna, scoprii più tardi, a Ranuccio I.




Dunque, uno dei miei rifugi prediletti era l'Orto Botanico della mia città, Parma, che proprio da Ranuccio I Farnese fu voluto come Orto dei Semplici. Era il 1630, e l'Orto non era dove noi lo vediamo, oggi, sotto la guida del Dipartimento di Bioscienze e della Soprintendenza (e sotto le amorose cure dagli Amici dell'Orto Botanico). Si trovava, invece, nei pressi dell'allora Facoltà di Medicina, per poi spostarsi nei pressi pressi della Chiesa di San Francesco (oggi di fronte alla Casa della Musica) e, infine, a partire dalla seconda metà del '700, nella sede attuale, all'angolo fra Strada Farini e Viale Martiri della Libertà. Ai tempi è Ferdinando I di Borbone ad amministrare Parma, uomo colto e determinato, che si circonda di intellettuali raffinati e competenti: uno è l'abilissimo ministro Guillaume Du Tillot, l'altro è l'architetto Ennemond Alexandre Petitot. E proprio Petitot a progettare la neoclassica serra dell'Orto, strutturato come un giardino all'italiana, con fontana centrale e vialetti perpendicolari di ghiaia che disegnano aiuole circondate da siepi di bosso. Sotto la guida del cattedratico Giambattista Guatteri l’Orto diventa centro di studi e si arricchisce di specie botaniche extraeuropee. Alla fondazione del nuovo Orto risale la piantumazione di un Ginko Biloba, tutt'ora esistente, che, per il suo notevole carico d'anni, è diventato il simbolo dell'Istituzione. 
In età napoleonica è Maria Luigia a prendere le redini dello Stato di Parma. Sono gli anni in cui si forma l'entomologo Camillo Rondani, che entrerà in contatto con il botanico e zoologo Giorgio Jan e il naturalista Pellegrino Strobel. All'austriaco Jan segue poi Giovanni Passerini, dal 1843 al 1893, periodo intenso e fruttuoso, in cui pubblica opere settoriali di grande spessore scientifico, per metodo e oggetto di studio, come Flora dei contorni di Parma, 'chicca' che reperite in versione digitalizzata (https://archive.org/details/floradeicontorn00passgoog). Una guida tascabile d'altri tempi all'insegna di fiori e piante. 




A proposito... quali meraviglie troviamo all'interno dell'Orto Botanico di Parma? Tante. La Ginko Biloba, dicevamo, che in autunno lascia cadere ai suoi piedi un tappeto di foglie dorate, ma anche altre piante orientali, come la Parrotia Persica, che si fa apprezzare per le sue gemme sanguigne e per le sue fioriture a capolino di un arancione acceso. Lungo il percorso ci imbatteremo in un cipresso calvo, ippocastani, pini, una sequoia gigante, un cerro, e - presso la serra - ninfee popolate da rospi, la Lemna minor o lenticchia d'acqua e gli stoloni  di Elodea (nota come "peste d'acqua") e, ancora, bonsai, piante grasse e piante insettivore, come la Venus acchiappamosche, la Drosera e la Heliamphora. E chiaramente la violetta di Maria Luigia, che solo un lungimirante imprenditore quale Borsari rese famosa in tutta Europa con il suo profumo (e che Verdi onorò chiamando la protagonista della Traviata... Violetta).



Ma non è ancora finita. Una volta entrati nell'Orto potrete visitare il Museo di Storia Naturale e, uscendo, sulla destra, l'antica Scuola di Botanica, che conserva numerosi erbari, fra i quali i più interessanti sono quello del botanico Giovanni Battista Casapini e della Contessa Albertina Sanvitale. Ma ve ne sono altri che in questi giorni, fino al 17 dicembre, potete visitare all'Orto Botanico in occasione della mostra Maria Luigia e le scienze nelle collezioni dell’Università (da venerdì a domenica dalle 15 alle 19, da lunedì a venerdì dalle 10 alle 13 solo su prenotazione per scuole e gruppi ).



Non vi resta che lasciarvi catturare dai profumi, dai colori - ora opachi ora intensi -, dagli scorci, dalle luci che colpiscono i legni e fanno brillare le cortecce, dalla rugiada, dalle chiocciole e dai tritoni. E forse, seduto a riflettere, potrete incontrare Petitot, o Passeri, intento a catalogare pollini, o quel piccolo ricercatore di foglie perso nel tempo.