mercoledì 18 novembre 2015

LA GUERRA OGGI, TRA FETICISMO E ASSENZA DEL PARADOSSO



di FRANCESCO GALLINA




Teste di Armeni decapitati dai Turchi.

"I cattivi arrivano e dobbiamo lasciare la nostra casa" e il padre risponde "La nostra casa è la Francia". Al di là del fatto che in Italia una scena di questo genere non avremmo mai avuto il piacere di vederla, colpisce come il bambino abbia centrato la questione: ci sono dei cattivi e c'è una casa in pericolo da cui si è barbaramente cacciati. Cosa c'entrano loro? Niente. Sono pezzi di un puzzle da eliminare perché il puzzle prenda forma. E il puzzle si chiama ISIS, ma ieri si chiamava nazismo o stalinismo. 

Mi piacerebbe che molti avessero la lucidità di quel bambino. Capire che i cattivi non sono paradossali, ma sono cattivi. Punto e basta. Cosa voglio dire? Che quanto accaduto (e quanto accadrà) non è frutto di menti psicopatiche, anzi, sono menti più lucide di quella del bambino stesso. I kamikaze sanno benissimo quello incontro cui vanno e ne sono orgogliosi, entusiasti. Si chiama jihad, ma anche più semplicemente guerra. I termini non coincidono, ma si lambiscono. La prima è uno slancio di perfezione e di pulizia etnica globale a favore di un ideale, la seconda può essere semplicemente uno scontro. Sarebbe stato semplice fino alla Prima Guerra Mondiale: due battaglioni si scontravano in un campo di aperta campagna e "tutto" finiva lì. Con la Grande Guerra l'ideale cortese dello scontro corpo a corpo scompare, il conflitto si fa logoramento psicologico prima ancora che fisico e le granate non vedono più in faccia chi colpiscono. La stessa cosa avviene nei campi di sterminio: gli ebrei vengono ammassati nelle camere a gas e il gas è azionato una volta sigillate i portelloni a tenuta stagna. Non c'è un soldato tedesco che ficchi una spada nel cuore di un ebreo, così come non ci sono grate che mostrino gli ebrei asfissiare nudi fra convulsioni, fuoriuscita di sangue dagli orifizi e attacchi improvvisi di diarrea. La visione sarebbe atroce: nemmeno un soldato addestrato dal Reich sarebbe stato in grado di reggere alla visione. Prima e Seconda Guerra Mondiale abbattono la vicinanza: il Medioevo, in questo, era estremamente più civile. Il collo che sgozzavi, lo sentivi sprizzare sangue mentre recidevi vene e muscoli. 

Non si lanciano più bombe a mano, ma si lanciano missili a distanza. Si sono espanse le distanze. Oppure ci si immerge nella folla e ci si fa saltare in aria, senza guardare in faccia chi si uccide. L'uno vale l'altro. Sono promesse vergini bellissime nell'aldilà. E allora, presi dall'ideale elevato, celestiale, non si dà alcun valore a quel che passa sott'occhio nel mondo del reale. Che ti passi davanti un bimbo, una donna incinta o una studentessa nel fiore dell'età, non ha più nessuna importanza. Ci riduciamo a numeri in funzione di ideali, feticci, cose, carne da macello. 
Ma dire che è un paradosso è dire una scemenza: è la guerra così come il Novecento ce l'ha fatta conoscere. Idealismo, nazionalizzazione delle masse, eroismo, sacrificio, massificazione della morte. Un morto non basta, è troppo poco ed è poco efficace. 
Dopotutto, leggere Mazzini e leggere il Corano non fa molta differenza: c'è sempre un Dio e ci sono sempre infedeli da vituperare (ma che abbia mai letto di Gesù Cristo estrarre una spada o invitare alle armi) in vista di un ideale. E come si chiama questo ideale? Italia Unita. 

Ecco la ragione per cui, in Italia, non avremmo mai potuto godere di quel bambino e di quel padre. Perché? Semplice. L'Italia, a distanza di 150 anni dalla sua nascita, non è una nazione, un popolo legato da un collante identitario forte come lo è da secoli la Francia, ma è il frutto di dementi (da de-mens: che non pensano) che pensavano di fare uno Stato da un giorno all'altro. Uno Stato fantoccio che, al momento di decidere se restare in guerra o no, pusillanime qual è, non ha mai deciso. Uno Stato, appunto, non certamente una nazione. L'Italia non è mai stata la casa di nessuno. Perché l'Italia non è mai esistita. 

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