martedì 1 novembre 2016

«MI DIÈ BIBBIENA DOPPIA VOLTA»: LA CHIESA DI SANT'ANTONIO ABATE A PARMA



di FRANCESCO GALLINA










Sono banditi foto e video. Perché quella di cui vi stiamo per parlare è una delle chiese meno visitate, ma anche più preziose di Parma. Le opere che contiene devono essere tutelate perché hanno un valore immenso. Per questo, per la prima volta, #busillisblog non vi può mostrare foto dell'interno della stupefacente Chiesa di Sant'Antonio Abate di Parma. Prendetelo, allora, come un sottaciuto invito ad alzarvi dalla poltrona e immergervi nell'irresistibile pomposità del barocco. O, meglio, barocchetto.

La storia dell'edificio è attorcigliata come una colonna del Bernini. Tutto ha inizio dallo stato di degrado in cui giaceva l'antico Ospedale dei Cavalieri di Sant'Antonio. Come sempre in questi casi, servivano mecenati dotati di denaro e gusto per il bello: si fecero avanti, dunque, il cardinal Antonio Francesco Sanvitale e addirittura papa Clemente XIII, che non solo sborsarono fior di quattrini (in realtà, scudi), ma interpellarono anche uno dei massimi architetti e scenografi del barocco italiano a cavallo fra il '600 e il '700: Ferdinando Galli da Bibbiena. I lavori iniziarono nel 1712, ma fu sufficiente la morte del Sanvitale per bloccare il cantiere, che sarebbe stato ripreso solo nella seconda metà del secolo XVIII per volere del vescovo Camillo Marazzani.

Ritorniamo al Bibbiena, che 'firma' i progetti. L'esecuzione, però, è affidata ad altri artisti.
La facciata imponente e chiaroscurale è ad opera di Francesco Antonio Albertolli. Dietro cupe grate (non invitanti - di certo - ma necessarie per scongiurare il vandalismo dilagante) si possono apprezzare, nei vestiboli laterali, i monumenti nicchiati alla Carità e alla Sapienza. In particolare, nel vestibolo di destra è murata la tomba dell'illustrissimo conte Pier Maria Rossi di San Secondo, il cui figlio sarà ricordato per aver commissionato il castello di Torrechiara.  Ma ora entriamo in chiesa.

Subito mi colpisce una scurissima lapide, scurissima perché estremamente polverosa come tutto l'interno ad aula unica che necessiterebbe di una pulizia e di una restaurazione quasi totale. Sopra la lapide è inciso un sonetto in endecasillabi. È la chiesa che si rivolge a noi e ci dice: "Mi diè Bibbiena e forma e doppia volta / che il firmamento adombra e il Paradiso [...]". Ed eccola la doppia volta. Puntando il naso verso l'alto ci sovrasta in tutta la sua originalità: 31 trafori della prima volta inferiore permettono allo spettatore di intravedere la centrale apoteosi di Sant'Antonio e le laterali scene di angeli affrescate dall'abate Giuseppe Peroni. La tecnica di composizione non è michelangiolesca, ovvero l'abate non dipinge piegato contro il soffitto, ma realizza le forme a terra e le incolla al soffitto in un secondo momento. Alcune di queste, infatti, stanno scollandosi. Perché una doppia volta, e per di più osservabile attraverso fori? Forse perché il trascendente, che sta oltre la prima volta celeste, è intellegibile a tratti? Restando con lo sguardo rivolto verso l'alto possiamo ammirare le statue della beatitudini: una, sempre vicina all'ingresso, è la prima ad aver ricevuto - per metà - la recentissima pulitura. Quando entrate, gettateci subito uno sguardo, perché vi dirà quale luminosità ebbe e quale luminosità avrà la chiesa, una volta restaurata.

Avviciniamoci all'abside: sulla parete di fondo colpisce l'affresco del Peroni, che raffigura un Sant'Antonio tentato dal diavolo. Poco più su una splendida raggiera di legno dorato. Degli altari laterali l'opera più pregevole è una Fuga in Egitto del Cignaroli. La grande assente è la Madonna di San Girolamo, olio su tavola che potete ammirare in tutta la sua bellezza alla Galleria Nazionale di Parma, ma che un tempo si trovava proprio nell'abside, voluta da Briseide Colla per onorare il marito Ottaviano Bergonzi a lui, il grande, inimitabile: Correggio. 

Siamo giunti al termine, ma prima di uscire non dimentichiamo l'organo Poncini-Negri ancora funzionante e la Via Crucis di Emilio Trombara. Il primo marchio Barilla era il suo. 





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