di FRANCESCO GALLINA
Il nonsense è per sua natura indefinibile, collocandosi al di fuori degli usuali meccanismi comunicativi. Il nonsense non combatte il significato, ma lo trasforma, lo rigenera, incorpora e scorpora i significanti perché ne risulti qualcosa di nuovo e antico allo stesso tempo. Scrivere poesie nonsense è operazione di rara complessità: c'è il nonsense artistico e il nonsense involontario e patetico. La produzione poetica di Fosco Maraini rientra nella prima sfera; alla seconda appartengono le poesie dei poetastri, che credono di fare buona poesia ma non creano altro che ciofeche poetiche. Un mondo, quest'ultimo, popolato da voci illudono gli stolti che cacciare a capo versi sia la soluzione per autoproclamarsi poeti. In disparte, nell'angolo dei migliori, vivono invece esperti della parola, che stravolgono la tradizione perché, prima, l'hanno studiata. Con Gnosi delle fànfole, Maraini dimostra come sia difficile comporre una poesia metapoetica e, per di più, in perfetti endecasillabi musicali e fonosimbolici. Dietro c'è il pastiche di Teofilo Folengo e di Carlo Emilio Gadda, ma anche Joyce e Carroll. Davanti, invece, ci sono i lettori, ma anche certi notevoli traduttori che hanno avuto coraggio e bravura nel volgere il nonsense nella loro lingua. Operazione rischiosa e titanica che fa della traduzione qualcosa di assolutamente nuovo, un'opera letteraria in sé.
Fosco Maraini (1912-2004), etnologo, orientalista e fotografo (e padre di Dacia) ci offre un esperimento letterario degno di nota nella sua unica e ancora poco conosciuta raccolta di poesie, inizialmente stampata solo in 300 copie per amici e parenti, ricevendo solo dopo un certo successo di pubblico, anche grazie alle interpretazioni di Gigi Proietti. Per la consueta rubrica poetica di #busillisblog propone una delle meno note poesie di Maraini (la più famosa è Il lonfo), accompagnandola con un acrilico del contemporaneo Antonino Rossi.
BOTTIGLIE DI FOSCO MARAINI
DA GNOSI DELLE FANFOLE (1994 ed. definitiva)
Antonino Rossi, Bottiglie di vino, acrilico su tela. |
Non siamo tutti simili a bottiglie
ripiene di ricordi e cronicaglie?
Bistròccoli, fruschelli, filaccetti
ricolmano le pance trasparine,
fanfàggini, birìllidi, nulletti
s’asserpano in ghirlande cilestrine…
Se scuoti la bottiglia sgrengoluta
risorgono megoni e gastrifèmi,
rispuntano tra mèmmola grognuta
nascosti vercigogni e schifilemi.
Talvolta vedi invece lumigenti
miriàgoli, trigèridi, fernuschi,
e piangi su gavati struggimenti
finiti coi patassi fra i rifiuschi.
Non tornano a rivivere le facce
d’amici e d’amorilli luscherosi?
Risplòdono le voci, le morcacce
d’incontri cuspidiali e trucidiosi!
Poi un giorno la bottiglia si tracassa,
il vetro si sbiréngola nel sole
in croccherucci verdi, in patafrassa,
tra l’erbe cucche e cionche di pagliòle.
Ahi dove sono allora i gaviretti,
i nobili tracordi, i rimembrili.
i càccheri, gli smèrmidi, i frulletti,
i mòrfani, gli sghèfani gentili?
Sdrafànico mistero di bottiglia
bottiglia di sdrafànico mistero.
Eccezionale!
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