di FRANCESCO GALLINA
La saga di Giuseppe Cruciani contro i nazivegani (come Cruciani ha definito il mondo vegan & co.), ha visto un animalista gridare al microfono: "Non c'è nessun essere umano che vive per morire". Molto interessante l'affermazione, ma solo perché radicalmente sbagliata. E se volevate leggere un articolo contro i vegani, non vi accontenterò, cari lettori. Ci divertiremo invece a smontare la proposizione a partire dall'eccezione - non per niente eccezionale, anzi, proliferante - che la nega.
Stiamo parlando esattamente di coloro che vivono per morire. Stiamo parlando dei kamikaze e della loro logica. Feuerbach la definirebbe "antropologia rovesciata". In altre parole, non si vive sapendo di morire, ma si muore convinti di vivere. Il misero e scialbo passaggio sulla Terra non merita di essere goduto, perché c'è un aldilà più bello, armonico, splendente: l'obiettivo è quello, ovvero qualcosa di non tangibile, ma puramente trascendentale. Materiale e astratto si sovvertono, cioè l'Idea, detta altrimenti Dio, diventa l'unica luce sotto la quale ci si pone per essere illuminati. Fuori da quel lampione c'è solo il buio, l'oscuro male del mondo. Il male del mondo lo si elimina solo eliminandosi dal male stesso.
Il kamikaze non crede nella morte, ma nella rinascita. La morte è solo una porta attraverso la quale accedere alla nuova vita. Per questo il kamikaze non ha paura di morire, non teme di sentire dolore, perché Dio gli dà il potere dell'atarassia, cioè l'impotenza. Si sente potente, ma è solo un illusione, come quella in cui crede. E vi crede in modo innato o predeterminato, ma perché è una legge (!) a cui è stato indottrinato da parte dello Stato o della famiglia. Quando parliamo di Islam, ad esempio (ma il kamikaze non è solo islamico), religione e Stato sono sullo stesso piano: la religione si è fatta Stato, il piano giuridico e quello religioso sono del tutto coincidenti. Le leggi maomettane sono leggi costituzionali.
Il kamikaze non è dunque educato alla morte, ma al martirio. Ed è martirio in nome dell'amore. Amore per l'Idea, amore per Allah (o per qualsiasi Dio a cui ci si sottomette). Il prezzo della sottomissione è la Felicità, quella roba inesistente di cui noi uomini parliamo da tremila anni almeno, senza cavarci una forca. Ma chi muore in nome dell'Idea, muore cercando di migliorare anche la condizione terrena, materiale, nella sua terra minacciata dal Nemico. I terroristi sono accecati dall'Amore, l'Amore che solo il loro Dio può permettergli.
Il martirio è un atto di così alto valore che non è concesso a tutti nello stesso modo. Le modalità con cui ci si deve suicidare ammazzando altri uomini è dettato dalla Legge Islamica. Perché la Legge Islamica è Istituzione, sistema educativo, colonna portante della società e dell'individuo. Ad esempio, il moderato Rouhani, con cui l'Italia stipula accordi economici, è grande promotore del martirio in Iran, sulla scia di quanto dettato da Khomeini, il grande fondatore della Repubblica Islamica iraniana.
Un attimo: tu ci hai parlato di Islam, ma la parola kamikaze è giapponese. Certo, e la prima unità kamikaze risale alla Seconda Guerra Mondiale, guerra patriottica tanto quanto la prima, guerra ideologica, dove si veneravano, per l'appunto, Idee, non idee (con la i minuscola). Quando un kamikaze si suicida riferendosi alla sua più alta Idea, noi Occidentali perbenisti abbiamo la sicumera di escludere che c'entri la religione. No!, diciamo, non è così! E allora, se non è così, perché kamikaze significa vento divino?
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