di FRANCESCO GALLINA
Stiamo vivendo giorni di sanguinolenti pestaggi virtuali che non ci rendono onore. Un affastellarsi di polemiche moraliste e morali polemiche. Prima il terremoto scatena il Dies Irae sui social, poi Charlie Hebdo pubblica una vignetta sì schifosa, ma in perfetta linea con il profilo editoriale della rivista. E anche qui cola la lava dell'indignazione e ci si fa paladini di tabù, perché - si dice - c'è un limite a tutto e sulla morte non si scherza. Da rivoluzionari #jesuischarlie ci scopriamo furibondi contro una vignetta. Mi riferisco alla prima, che può avere più strati di lettura e si colloca nel genere del black humor, che - purtroppo o per fortuna - non guarda in faccia a niente e a nessuno. La seconda, invece, è frutto di ignoranza e basta.
Che l'abbiate reputata una buona vignetta o un'abominazione, avete fatto quello che Charlie voleva. Nel bene e nel male, Charlie è ontologicamente questo.
La domanda è: nel 2016 possiamo affrontare in modo distaccato le espressioni poietiche (nel senso di poiesis) senza necessariamente indignarci? Non vale solo per Charlie. Vale per ogni campo. E vale anche per artisti notevoli del calibro di Courbet, che dipinse su una tela le parti intime di una donna. Siamo liberi di considerarlo uno scandalo peccaminoso. Oppure studiarlo con serenità, e scoprire che magari è un capolavoro (e con 'capolavoro' non alludo di certo alla vignetta incriminata).
Così si può fare anche con la satira antica, che da Persio in poi è concepita sempre più come dolorosa operazione chirurgica contro i paradossi della realtà. Insomma, qualunque sia la sua forma, la satira non è mai piacevole. L'importante è che non si trasformi in pura mediocrità. Ce ne dà un ottimo esempio Giovan Battista Marino nella sua irresistibile e violenta Murtoleide. Violenta come violento è il bersaglio preso di mira, il poetastro genovese Gaspare Murtola, segretario del duca di Savoia. Tra i due non scorre buon sangue sin da quando si conoscono a Roma. L'incontro alla corte torinese scatena dissapori talmente velenosi che il Murtola attenta alla vita di Marino, che in una delle sue epistole ricorda: "Si appostò con una pistoletta carica di cinque palle ben grosse, e di sua propria mano molto da vicino mi tirò alla volta della vita. Delle palle tre ne andarono a colpire la porta d'una bottega che ancora se ne vede segnata; l'altre due mi passarono strisciando su per lo braccio sinistro". D'altronde, il Marino defrauda ogni possibilità del Murtola di impossessarsi del cavalierato. Il duello fu armato e poetico. Il Murtola scrisse la Marineide, il Marino scrisse la Murtoleide (1619), raccolta di 81 sonetti burleschi detti fischiate da cui traiamo Il Murtola letterato. Versi taglienti, pieni di affilato sarcasmo, che potrebbero essere agevolmente applicati ai tanti pseudo-poeti contemporanei. La satira - ce lo insegna lo studio pacato e distaccato della letteratura e della storia - è eversione dai tabù: può desiderare anche la morte di qualcuno e non ha peli sulla lingua. Di una cosa siamo certi: per fortuna Facebook, ai tempi del Marino, non esisteva.
Per la consueta rubrica poetica del sabato, #busillisblog accompagna il sonetto del Marino con la vignetta satirica e caricaturale che Andre Gill fa di Leon Brissé, detto Baron Briss, uno dei più famosi critici culinari dell''800. Compare infatti su «La Lune», giornale satirico fondato nel 1865.
IL MURTOLA LETTERATO
dalla MURTOLEIDE di GIOVAN BATTISTA MARINO
Questa bestia incantata elefantina
s’allaccia tra la plebe la giornea,
e parla d’Agamennone e d’Enea,
per dimostrar ch’egli ha qualche dottrina.
Ma non s’accorge che la medicina,
atta a gonfiar la sua prosopopea,
sará forse la forca o la galea,
over esser coverchio di latrina.
Pur li perdonerei questo peccato;
ma, quando egli in dozzina si framette
con gli scrittori, a far il letterato,
viemmi una rabbia de le maledette
di dargli in testa un Dante comentato,
di stampa antica, con le tavolette.
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