mercoledì 15 luglio 2015

MOOP, OVVERO DELLA POETICA DELL'OGGETTO EMBLEMATICO



Una graziosa e minuscola saletta retrò ospita uno degli esperimenti più interessanti di questa torrida estate parmigiana.  Il MOOP, acronimo di Museo degli Oggetti Ordinari di Parma, è stato inaugurato ieri 14 luglio e sembra legarsi visceralmente al concetto  eliotiano di correlativo oggettivo: il correlativo oggettivo di un'emozione è un oggetto la cui presenza evoca una determinata e soggettiva emozione.

Ma procediamo con calma. Il MOOP è la versione italianizzata dell'omonimo museo marsigliese (MOOM) connesso al Théâtre de Cuisine, che da trent'anni instaura una feconda collaborazione con il Teatro delle Briciole di Parma. 
 

Shark attack.
Cosa c'entra il teatro? Per capirlo, bisogna rifarsi al teatro degli oggetti, di cui Christian Carrignon e Katy Deville hanno dato gustose dimostrazioni il 10 luglio al Palazzetto Eucherio Sanvitale. Semplicissimi oggetti possono dar vita a scene esilaranti. Sul palco c'è il solo attore, la sua voce onomatopeica e gli oggetti, che vengono fatti interagire manualmente o per mezzo di fili. Niente di pletorico, ma visto dal vero, è un genere teatrale che dà grandi soddisfazioni e regala allo spettatore grasse risate. Niente di pletorico, ma neanche niente di banale, anzi. Dietro al teatro degli oggetti c'è la teorizzazione della poetica oggettuale, ovvero: dietro o dentro all'oggetto stesso c'è un potenziale cuore che pulsa, una storia, un'avventura, una metafora, o un'emozione, appunto.


Action Man precipita dal Monte Bianco.

L'aspirina diventa l'emarginato sociale che, cacciato dalle "normali" caramelle perché "diverso", decide di suicidarsi in un bicchiere d'acqua. Una vaschetta può diventare il luogo d'incontro per un impossibile amore fra uno squalo e un sottomarino oppure la trasposizione di un oceano horror in cui serpenti e squali si divertono a sbranare le belle fanciulle a mollo.
Questo, dunque, il fulcro teorico su cui si fonda il MOOP: dare nuova vita ad oggetti appartenuti ai nostri nonni, applicandovi un cartellino dove si scrive una metafora, meglio se ironica.

Ad esempio? A una grossa oca di stoffa è stata associata la frase "Mia nonna andava in oca", a un vecchio timbro di legno "Questa era la firma firma digitale di mia nonna". Io, ad esempio, ho donato un libricino dell'Orzo Bimbo, che mio nonno mi avrà letto tipo una trentina di volte: la storiella del coniglio timido; al che, sul cartellino consegnatomi ho scritto: "Mio nonno mi ha insegnato a non essere un coniglio". Insomma, avete capito.


Non solo si offre allo spettatore la possibilità di riscoprire la comune oggettistica del passato (risalente soprattutto agli anni del Dopoguerra), ma di riflettere anche sull'ironia, sul ricordo o sulla poesia intrinseci a quegli stessi oggetti. La semplicità regna sovrana, ma è dalla semplicità che possono nascere grandi soddisfazioni.
 
Quindi, vi invito a visitare questa chicca, aperta fino al 5 agosto (poi, chi vivrà, vedrà) nel Complesso Romanini-Stuard, ex storico ricovero di via Rismondo 1, a Parma.
 
 
 
 
FRANCESCO GALLINA




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