di FRANCESCO GALLINA
Da sinistra: Francesco Gallina, Paolo Briganti, Gian Carlo Artoni, Luigi Alfieri, Giuseppe Marchetti, Mirella Cenni. |
Profumano di fiori preziosi, di falene, di lucente frutta fresca ancora appesa al ramo. L'odore è quello dei campi trebbiati, delle bertolucciane gaggìe, ma anche di foglie appassite, ingiallite dal tempo. Certe pagine sono scosse da un vento pungente, vento Favonio, altre sono afose come la Bassa, altre ancora bagnate dalla brina del pianto. Sono lunari versi "fatti di pioppo / e [...] di rovere", versi di una freschezza che sembrerebbero fatti da un bambino. Ma un bambino non possiede la lima, l'arte della pomice. La leggerezza non è banalità, il fare un tanto al mucchio: la leggerezza - quella bella, quella calviniana - presuppone spirito giovane, ma anche e soprattutto studio, notevole abilità di manipolare la parola, una sapienza che si nutre di letture e di tempo. Si può essere fanciullini anche a 94 anni. A Parma ne abbiamo uno, ma gli altolocati addetti della cultura sembrano non saperlo - o meglio - non lo sanno proprio. D'altronde: la città è stata rovinata, anche gli alberi sono stati "giustiziati // hanno perduto l'ombra, // non raccolgono il vento, / ma il sindaco // è contento".
Eppure Gian Carlo Artoni è stato allievo di Attilio Bertolucci, Cecropino Barilli, Francesco Squarcia, amico di Leonardo Sciascia, amico di penna di Beppe Fenoglio, Pier Paolo Pasolini e Roberto Longhi, per citare solo qualche nome. Artoni è l'araba fenice che dopo 50 anni di assenza dal panorama poetico italiano ritorno più vitale che mai con La luna bianca. Diario in versi (Diabasis, 2016), dopo Lo stesso dolore e altre poesie nel tempo (1949 - 1966) (Diabasis, 2014) e Il serpente piumato (Diabasis, 2015). La nuova raccolta, introdotta in copertina da un magnifico Nudo di donna di Carlo Mattioli, ha una prefazione a cura di Luigi Alfieri e una postfazione di Paolo Briganti, e proprio Alfieri e Briganti hanno presentato il libro ieri 1 giugno 2016, insieme a Giuseppe Marchetti e all'attrice Mirella Cenni.
C'è in Artoni ciò di cui #busillisblog, da quando è nato (ormai un anno), aspira il ritorno perché la poesia non sia solo un volgare buttar giù versi, come in questi tempi va tanto di moda fare, eccetto pochi casi. C'è in Artoni il senso artigianale del fare poesia. Ed è, negli ultimi anni, un fare quotidiano, quasi che ogni poesia fosse per lui un nuovo figlio da portare alla luce.
Dai giochi di endecasillabi e settenari caratterizzanti la produzione degli anni '60, Artoni approda a settenari, ternari, quaternari e quinari. La rima, spesso baciata e alternata, la fa da padrone, ed è una fortuna, in un secolo che dimentica il potenziale espressivo della rima. Non solo. La poesia contemporanea sta perdendo la bellezza dell'ironia, quella coltivata da Palazzeschi e dall'ultimo Montale, quell'ironia sottile e deliziosa, che si alterna ai versi più laceranti, quelli dove la morte è protagonista. Ma Artoni, la morte, la esorcizza senza oscure pratiche magiche. Per chi sa architettare versi belli, versi pieni d'amore, la poesia è rito salvifico, il miglior elisir di lunga vita che ci sia.
*La recensione dell'Opera Omnia di Gian Carlo Artoni è uscita da qualche giorno su «Studi e Problemi di Critica Testuale».
*La recensione dell'Opera Omnia di Gian Carlo Artoni è uscita da qualche giorno su «Studi e Problemi di Critica Testuale».
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