di FRANCESCO GALLINA
"Questi
sono gli ultimi giorni di riprese per Gomorra 2, che torna in primavera. Non
potete immaginare cosa vi aspetta."
4 novembre 2015,
bacheca Facebook di Saviano e - sotto al premesso post - un sorridente selfie
scattato dai validi attori di Gomorra, la serie SKY diretta da un regista
d'eccellenza come Sergio Sollima, il cui sporco e crudo Suburra abbiamo
apprezzato e recensito positivamente sempre su #busillisblog (http://busillisblog.blogspot.it/2015/10/roma-putrefatto-cadavere-in-suburra.html).
Ma il problema
non è né Sollima né la serie, serie - fra l'altro - di ottima qualità e dotata del raro pregio di prendere le distanze dal buonismo glicemico propinato dalle fiction Rai.
Il problema è
Saviano. Questioni di plagio? No: questioni di coerenza.
La prima volta
che lessi Gomorra era in seconda superiore: ci obbligò a leggerlo la
professoressa che avrebbe dovuto insegnarci storia medievale e che, invece, su
Gomorra perse intere settimane. Ce lo spacciava per un capolavoro e a
me il libro era pure piaciuto, benché non sapessi manco che faccia avesse
Saviano (il realtà la faccia sì, perché era sul retro di copertina, ma per il
resto mi risultava un emerito sconosciuto). Sorvolo sulla proposta di un libro
del genere a dei ragazzini. E allora vabbè, che sarà
mai leggere di merda, budella, piscio, sangue e decapitazioni senza nemmeno conoscere uno, dico un solo fatto del Novecento?
Ma a parte questi piccoli dettagli didattici, ora
che Saviano lo conosco, perché studio Lettere e - nel bene o nel male - leggo
senza che una professoressa mi imponga l'analisi di quello che è tutto tranne
che un capolavoro, la mia idea sul libro non cambia. Stolto è chi critica
un'opera artistico-letteraria sulla base delle simpatie che ha nei confronti
del suo autore.
L'importante è che produca un'opera sensata e decente: Gomorra lo è. Ma si ferma qui: i capolavori sono altri. Tanti i punti negativi, le evidenti ambiguità e gli elementi che non quadrano - esplicitati meglio di me da Alessandro Dal Lago nel suo caustico e penetrante saggio Eroi di carta (2010) - ma anche tanti quelli positivi, fra cui dare la dignità di un'arma alla parola, che sa creare crepe, fratture, persino spaccare il miocardio del Sistema camorristico come fu quella di cui si fece paladino Peppe Diana. Gomorra offre inediti squarci su un fenomeno oscurato dall'attenzione mediatica su Cosa Nostra. Ma, soprattutto, Gomorra dimostra che, nella società alienata in cui viviamo, la parola può assumere nuova linfa vitale, buttare acqua fresca sui visi lordi.
L'importante è che produca un'opera sensata e decente: Gomorra lo è. Ma si ferma qui: i capolavori sono altri. Tanti i punti negativi, le evidenti ambiguità e gli elementi che non quadrano - esplicitati meglio di me da Alessandro Dal Lago nel suo caustico e penetrante saggio Eroi di carta (2010) - ma anche tanti quelli positivi, fra cui dare la dignità di un'arma alla parola, che sa creare crepe, fratture, persino spaccare il miocardio del Sistema camorristico come fu quella di cui si fece paladino Peppe Diana. Gomorra offre inediti squarci su un fenomeno oscurato dall'attenzione mediatica su Cosa Nostra. Ma, soprattutto, Gomorra dimostra che, nella società alienata in cui viviamo, la parola può assumere nuova linfa vitale, buttare acqua fresca sui visi lordi.
E fin qui va
tutto bene - o quasi. Ma concentriamoci per un istante su uno dei capitoli più
belli del libro dal punto di vista documentaristico: Hollywood, incentrato sui tripudi
architettonici delle gigantesche ville dei boss (fra cui, appunto, Hollywood,
la villa di Walter Schiavone). Proprio Saviano - se consideriamo coincidenti il
narratore Roberto e l'autore Roberto - ci dice chiaramente quanto sia la
Camorra ad ispirarsi al cinema e non il cinema alla Camorra.
Camorra che
assorbe come una fetida spugna tutto quanto di più schifoso, sbruffone e
kitsch viene rappresentato dai protagonisti del Padrino, Scarface, Il
camorrista, Pulp Fiction, The Crow. Sappiamo perfettamente che Saviano nasce
nel '79 ed è impregnato fino all'osso di cultura pop. Quello che non
comprendiamo è perché una serie TV da lui supervisionata debba essere
spettacolare. Cosa può esserci di spettacolare nella famiglia Savastano? Ma
allora, siamo o non siamo nel neorealismo? Perché, se davvero neorealismo, non
ci dovrebbe essere nulla di spettacolare. La realtà, quella vera, di
spettacolare ha ben poco, sia per gli onesti che per i criminali.
Il vero problema
non è sputtanare il napoletano. No: il problema è eroicizzare la Camorra. E non
sarebbe un problema se l'autore di Gomorra non avesse evidenziato così
incisivamente la morbosa osmosi fra cinema e Camorra. E, ancora: se la camorra
è reale e fa quello che viene descritto in Gomorra, cosa possiamo aspettarci di
così stravolgente? Forse che la Camorra è speciale? Ma, allora, se è speciale,
è anche attrattiva, seducente. O no? La serie TV cosa vuole veicolare? Stupore
melodrammatico o realtà? Quale idea passa se i protagonisti di una serie TV
scritta da un eroe (?) dell'anticamorra sono proprio quei boss immaginari oggi
tanto imitati (pensiamo a Ciro o a don Pietro) dai ragazzini di Scampia e Casal
di Principe? Forse che Mafia e Camorra costituiscono un fruttuosissimo
businness per l'anti-mafia e l'anti-camorra? Forse che l'una non potrebbe farsi bella senza
l'altra?
Gomorra è
Gomorra. E basta. Non si può paragonare a nient'altro. Lo scrive Wu Ming 1 in New Italian Epic (2008): Gomorra è UNO - Unidentified Narrative Object. Gomorra è sfuggente. Non é il Padrino, non è Scarface. Semplicemente perché il Padrino e Scarface non
sono stati scritti da quello che, col tempo, è diventato un prete laico dalla
parte del giusto. Sta proprio in questo la differenza fra la parola di di Don
Peppino Diana e quella di Saviano: l'uno si è fermato alla parola, alla sua
penetrante e rivoluzionaria potenza (tanto da essere stato ammazzato), l'altro ha iniziato con la parola, per
finire con l'industria blasonata dell'immagine fantastica. Non c'è nessun peccato o
scandalo in questo: ognuno può fare quello che vuole, scegliere i percorsi che
preferisce. Ma un conto era Roberto, il pulito e adorabilmente imperfetto, l'uomo fatto di carne e pensiero, che ci raccontava della sua
personale battaglia contro il Male umano, un altro è Roberto che sta dietro
progetti in cui non solo più la parola non c'entra niente, ma si dà una roboante dignità
ontologica alla Camorra. Allora qual è il fine? Combattere la Camorra, o
suscitare piuttosto la suspence? Se la risposta fosse la seconda, allora,
combattere la Camorra non avrebbe alcun senso. La suspense e la serialità hanno
intrinseco l'essere idealmente continue, eterne. E se, dopotutto, la serie piace, è
perché piace come viene rappresentata la Camorra: cioè, nient'altro che un ammasso di pezzenti, recitati da attori sopraffini, ma pezzenti lo stesso. E nei pezzenti è più facile identificarsi che nelle brave persone, non dico divine, ma semplicemente brave e non per questo senza difetti.
Siamo passati da una docu/fiction al mito, dove non
c'è più confine fra il vero e il falso. Così nella mente dei pischelli Giuseppe e Romeo
nel libro Gomorra, così però, ormai, anche nei progetti di Saviano.
Saviano è libero di fare quello che vuole: ha la possibilità, l'appoggio. Perché non dovrebbe prendere parte a una serie TV?
Non sappiamo se siamo dalla parte della ragione o del torto. Un manager televisivo ci darebbe addosso, dicendoci che la ragione è del solo pubblico che adora il prodotto. Ma io non sono un manager, un ingegnere del successo, bensì un semplice uomo pensante. Non ho da vendere grandi valori, cerco solo un po' di coerenza.
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