di FRANCESCO GALLINA
Dopo essere stato censurato da FB per aver pubblicato L'origine du monde di Gustave Courbet, Vittorio sgarbi alza il polverone dei consueti moralisti facendosi fotografare nudo, disteso su un divano. Cosa inaudita. Nell'epoca super progressista del secolo XXI sul nudo cade il veto del politically correct. Il nudo non è ammissibile. Novelli Clemente XIII diventiamo insopportabili braghettoni che gridano allo scandalo appena vedono pudenda reali o artistiche. La nostra non è apologia del nudismo, è critica alla stupidità. Il nudo non solo non è accettabile per l'Islam, ma nemmeno per noi stessi che nudi viviamo sotto le vesti. Il membro è perturbante, non familiare. Fa impressione, fa schifo. Un po' come quelli che visitano La Specola fiorentina restando inorriditi delle cere che riproducono il corpo umano. Un auto-inorridimento, dunque, o misconoscimento della propria natura.
Eppure c'è un filone poetico-artistico italiano e internazionale che ha fatto della scatologia il suo cardine. Lontano dalle forme stilnovistiche e dai noiosi petrarchismi, c'è chi del deretano ha fatto oggetto di poesia. Non è pornografia, ossessiva insistenza sul sesso, ma leggera e scanzonata dignificazione delle parti intime in arte, lungi da ogni perbenismo. Nell'Italia del Quattrocento, dopo il "cul fatto trombetta" di Dante, Burchiello (Domenico di Giovanni) produce quella che De Robertis chiamava un prodotto letterario pop ante litteram: sonetti in cui il linguaggio e il lessico esplodono, assumendo tinte solo apparentemente nonsense. Dall'elogio metafisico per donne sublimate in forma d'angelo, all'elogio del culo. Per il consueto appuntamento poetico del sabato di #busillisblog, proponiamo il sonetto del Burchiello accompagnandolo con un adorabile particolare tratto dal Trittico del Giardino delle delizie di Hieronimus Bosch. E che si vergognino i vergognosi.
Hieronymus Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, olio su tavola, 1480 - 1490, particolare.
Io ho il mio cul sì forte riturato,
Che se sciloppo fusse il Pò, e ’l Tevere,
Pria tutto quanto mel converrìa bevere,
Che ogni budel di me fusse bagnato.
E s’io avessi Rubarber mangiato
Con mille pille non potrei mai credere,
Che mi facessino una volta pedere:
Pensa a bell’otta ch’i’ sarò purgato.
Ben ho fatto al mio cul cento cristieri
Sopposte, e medicine, e non mi vale;
Che stitico non sia più oggi che jeri.
Che s’io avessi in culo uno Speziale;
E ’l medico ci fusse anche in tal loco
Non posson far ch’io cachi un poco poco.
Ben darei bando, e ’l fuoco
A qual Medico si vuol dottorare,
Se primamente non sa far cacare.
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