a cura di FRANCESCO GALLINA
Poesia come corpo, entità, creazione ed esecuzione frugale, istante collettivo.
La poesia di Nicolò Gugliuzza, che ospitiamo con piacere nella consueta rubrica poetica del sabato di #busillisblog, nasce dallo sforzo di arrestare la deriva disincantata del consumo versificato: nei fonemi della raccolta Katastrofis Bop (di cui la poesia sottostante è un estratto)
la poetica si risveglia da un amplesso a contatto con un senso personale, inscindibile dal dilemma vita-opera, dunque nell'impegno sottolineato nella prefazione al libro, di arrestare la “Fuliggine” impervia dell'usurato panorama tecno-economico letterario, afferrando la caligine con tutte le energie di una prospettiva vitale: di qui il legame dell'autore con le forme “altre” rispetto all'egemonia testuale della poesia. Interagendo con l'eredità novissima, Nicolò Gugliuzza si volge verso una poesia totale, legame estrinsecato nel rapporto concreto-sintattico-ritmico con l'oralità, cardine di tutta l'opera e con la riappropriazione visiva del testo.
Non manca il dialogo con la tradizione, sebbene macchiata, inquinata, immersa nello smog della contemporaneità, nella permanente tensione verso un linguaggio fono-ritmico che quasi esaspera la ricerca di un'epica in grado di sostenere il peso del presente, epoca catastrofica, da cui il primo sostantivo all'interno del titolo: Katastrofis, la cui etimologia ellenica ha connotatati sia storico-letterari che politici. Ma è nell'intercalare Bop che si rivela l'intento: costruire dalle macerie di un'età neoliberale, soggetta al delirio mono-dimensionale della vendita e della produzione, costruire un senso attorno al ruolo del poeta tramite il valore sostanziato dalla comunità, valore riscoperto nella concretezza sonora, nella prossemica e nell'urlo. Una riscoperta della corporeità della poesia come vera e propria teofania.
Non stupisce che l'autore si cimenti nel panorama performativo della poesia italiana, in primis come slammer e organizzatore di contest di poetry slam, in secondo luogo come performer e autore di performance vicine al linguaggio del teatro-poesia, infine come educatore ed operatore culturale dentro gli istituti superiori e del carcere minorile della città in cui vive, Bologna.
I modelli sono molteplici: da Patrizia Vicinelli ad Adriano Spatola, dalla tradizione della poesia orale d'oltreoceano (Walt Whitman, Beat Generation, Saul Williams, Lynton Kwesi Jhonson e i Last Poets) alla neoavanguardia (su tutti la lezione di Sanguineti) per giungere al tardo esistenzialismo espressivo e all’individualismo di matrice francese.
LA FATA DAI LAMPIONI ROTTI
RAMMELLZEE, Ikonoklast Panzerism Alpha RockPainting, 1987 |
E' l'attesa dell'ora d'aria
a tardare nell'apnea:
cercasi disperatamente un mantra,
è il nulla domenicale che avanza,
la personificazione, il salario
e la morsa che attanaglia
come i candidi sorrisi di cani da guardia,
nella paura dell'altro, nella rabbia, TSO, dissonanza
nell'aleatorietà ch'esaspera l'aurora
nell'assenza della mia essenza – ascoltami!
È il profumo dell'asfalto
quando gli spiriti mi han perso di vista,
è l'individuo senza corpo
che davanti ad uno specchio
non riconosce più una Gestalt,
è vedere sul tuo fisico
l'ombra che tiene lo spartito
del fragore che mi scava all'interno,
è l'esasperazione dell'analisi,
la negazione senza pretese,
è aspettarti in silenzio in una stanza
trovare il lume, ma fremo!
È l'inesistenza di una misura,
il soggettivismo estremo,
è cercare lentamente la tua sagoma
nelle mastabe che mi circondano:
è considerare il ricordo
l'inconsistenza del secondo,
È L'ONDA, IL RAPIMENTO, LO SCOPPIO
DELL'ELETTRONE CHE NON CONTROLLO
LA RADIOGRAFIA DI UN BRIVIDO
CHE MI STA ACCOMPAGNANDO
E TENENDOMI PER MANO
NELL'INQUIETUDINE MIA VERSA
RESPIRI, IL MIO AGIRE, MEDITARE
E MI SCOTTO! E MI BRUCIO!
Combustione e viviamoci
per stanotte, per sempre, nel cristallo
come nel furore
e in questi spartiti
disillusi amanti,
Cartago, 2015
Nessun commento:
Posta un commento